titolo originale: LA CASA DEGLI SGUARDI (ITALIA, 2025)
regia: LUCA ZINGARETTI
sceneggiatura: GLORIA MALATESTA, STEFANO RULLI, LUCA ZINGARETTI, DANIELE MENCARELLI
cast: GIANMARCO FRANCHINI, LUCA ZINGARETTI, FEDERICO TOCCI, CHIARA CELOTTO, MARCO FELLI
durata: 109 minuti
giudizio: ★★★★☆
Marco ha vent'anni, un passato difficile (da tossico) e un presente (da alcolista) ancora più complicato. Un lavoro umile, rimediato grazie al padre vedovo, gli darà la forza per provare a ricostruirsi una vita...
"In Italia si fa tanto cinema "borghese", e mi sono detto che era il caso di pensare anche agli altri, a quelli che non hanno avuto fortuna nella vita..."
Lo ha detto chiaro Luca Zingaretti nell'intervista a cui ho assistito, e di sicuro non gli si può dare torto, anzi. Bisogna dirgli grazie per aver scelto per il suo debutto alla regìa una storia dove il protagonista è uno degli ultimi, uno di quelli che stanno in basso nella scala sociale e spesso vengono guardati con pietismo e commiserazione (nella migliore delle ipotesi). La casa degli sguardi (titolo tratto dal libro omonimo di Daniele Mencarelli, cui il film è ufficialmente ispirato) però non è "solo" questo: non è solo un racconto intimo di dolore e resilienza, ma anche un importante film politico che restituisce dignità e rappresentanza al lavoro umile, quello spesso "invisibile" agli occhi dei potenti, sottovalutato e sottopagato eppure indispensabile per garantire l'agiatezza delle classi superiori.
La storia è quella di Marco (un bravissimo Gianmarco Franchini, gran bel debutto anche il suo), un ragazzo ventenne orfano di madre e con un padre pudìco, quasi rassegnato, che prova a stargli dietro senza troppa convinzione. Marco una volta era un giovane brillante: aveva una fidanzata, tanti amici e una verve creativa che lo spingeva a scrivere poesie e declamarle al parco, vincendo anche concorsi. Poi, di colpo, il buio: la morte della mamma, la tossicodipendenza, un presente fatto di solitudine e alcolismo. Marco beve per non pensare, ma ovviamente il suo è un percorso autodistruttivo che lo porta ad allontanarsi da tutto, più o meno volontariamente. Almeno fino a quando, dopo aver visto la morte in faccia per l'ennesima volta, grazie a una raccomandazione riesce a farsi assumere in una cooperativa di pulizie.
Lo ha detto chiaro Luca Zingaretti nell'intervista a cui ho assistito, e di sicuro non gli si può dare torto, anzi. Bisogna dirgli grazie per aver scelto per il suo debutto alla regìa una storia dove il protagonista è uno degli ultimi, uno di quelli che stanno in basso nella scala sociale e spesso vengono guardati con pietismo e commiserazione (nella migliore delle ipotesi). La casa degli sguardi (titolo tratto dal libro omonimo di Daniele Mencarelli, cui il film è ufficialmente ispirato) però non è "solo" questo: non è solo un racconto intimo di dolore e resilienza, ma anche un importante film politico che restituisce dignità e rappresentanza al lavoro umile, quello spesso "invisibile" agli occhi dei potenti, sottovalutato e sottopagato eppure indispensabile per garantire l'agiatezza delle classi superiori.
La storia è quella di Marco (un bravissimo Gianmarco Franchini, gran bel debutto anche il suo), un ragazzo ventenne orfano di madre e con un padre pudìco, quasi rassegnato, che prova a stargli dietro senza troppa convinzione. Marco una volta era un giovane brillante: aveva una fidanzata, tanti amici e una verve creativa che lo spingeva a scrivere poesie e declamarle al parco, vincendo anche concorsi. Poi, di colpo, il buio: la morte della mamma, la tossicodipendenza, un presente fatto di solitudine e alcolismo. Marco beve per non pensare, ma ovviamente il suo è un percorso autodistruttivo che lo porta ad allontanarsi da tutto, più o meno volontariamente. Almeno fino a quando, dopo aver visto la morte in faccia per l'ennesima volta, grazie a una raccomandazione riesce a farsi assumere in una cooperativa di pulizie.
Il lavoro è il più umile possibile: pulire i cessi, sgombrare materiali, faticare come un matto giorno e notte per una paga da fame... eppure, aldilà di ogni aspettativa (compresa la sua), Marco grazie al lavoro rinasce: si fa benvolere dai compagni, trova nuovi stimoli, trova (forse) perfino un nuovo amore. Ma soprattutto riacquista la consapevolezza del valore della vita, in particolar modo dopo aver toccato con mano la sofferenza che si respira nell'ambiente di lavoro: Marco viene infatti impiegato nelle corsie di un ospedale pediatrico, dove il dolore dei bambini malati è pari solo alla voglia di rinascere e trovare un posto nel mondo. Certo, non tutto fila liscio: scacciare i propri demoni non è facile per nessuno e Marco rischia più volte di ricadere nel baratro, anche per colpa del cinismo di si crede più intelligente di lui, ma quel posto di lavoro, per quanto bistrattato e precario, gli consente ora di non sentirsi più solo.
E' davvero un debutto bello e sorprendente quello di Zingaretti: il suo film non ha certo particolari virtuosismi registici, ma sa tenere umilmente e opportunamente un profilo basso e rispettoso sia per la storia che racconta che per il messaggio che vuole far passare. E' una storia semplice, diretta, che commuove narrando un dramma umano di amore e amicizia nonchè il difficile mestiere di genitore. Ma è anche un'efficace rappresentazione della capacità del lavoro (qualunque esso sia) di nobilitare il protagonista e dargli una ragione di vita. Un'opera prima che convince e fa riflettere, che senza far uso di effetti speciali riesce a colpire al cuore e dare visibilità a quelle categorie che quasi mai vengono rappresentate nel mondo del cinema (in particolar modo nel cinema italiano, sempre troppo legato ai "salotti" di casa). Una storia forse come tante, ma che sa restituirci un po' di fiducia nel prossimo.
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