titolo originale: HERE (USA, 2024)
regia: ROBERT ZEMECKIS
sceneggiatura: ERIC ROTH, ROBERT ZEMECKIS
cast: TOM HANKS, ROBIN WRIGHT, PAUL BETTANY, KELLY REILLY, GWYLIM LEE, MICHELLE DOCKERY
durata: 104 minuti
giudizio: ★★★★☆
Dalla preistoria all'Homo Sapiens, agli indigeni, ai Coloni, e poi intere generazioni di famiglie. Le storie di tante vite che scorrono nel tempo, dentro la loro intimità, tutte racchiuse in una sola inquadratura: quella del salotto di casa...
Sì, perchè la vera protagonista di Here, per chi non lo sapesse, è una casa. Una dimora antica, o meglio una sola stanza di essa: un soggiorno dominato da una grande vetrata a parete intera che rappresenta il mondo in cui si muovono i tanti personaggi che in quella casa ci hanno vissuto nel corso dei decenni, dai primi anni del secolo scorso fino ai giorni nostri. Da questa unica inquadratura, immutabile nel tempo, si dipana un film concettuale ed estremizzante nello stile, forse anche un filino compiaciuto, ma innegabilmente coinvolgente ed sentimentalmente onesto, capace di farti commuovere in maniera genuina e nient'affatto costruita. E' questa la grande scommessa (vinta) da Zemeckis: arrivare al cuore dello spettatore in modo diretto, spontaneo, attraverso un film che invece, per paradosso, "vive" di formalismo puro.
I più intransigenti (quelli che hanno letto la graphic-novel originaria) hanno avuto di che lamentarsi per l'eccessiva frammentazione della trama (che non segue la linearità del tempo) e la semplificazione di alcuni personaggi (tipo la coppia di colore, ovvero gli ultimi proprietari di casa), in particolar modo nella parte iniziale, effettivamente molto più sbrigativa e cervellotica. Critiche comprensibili, oggettive, che però non tengono conto di un dettaglio basilare: un film di questo tipo, con una struttura di questo tipo, non poteva trascinarsi per più dei 104 minuti di lunghezza che sono la durata-base per un prodotto del genere. Approfondire ogni sequenza, dare il giusto spazio ad ogni situazione, avrebbe significato allungare i tempi in maniera eccessiva rendendolo ridondante e faticoso per lo spettatore, che alla lunga si sarebbe stancato di questo gioco d'incastri che, come tutti giochi, è bello quanto dura il giusto...
I più intransigenti (quelli che hanno letto la graphic-novel originaria) hanno avuto di che lamentarsi per l'eccessiva frammentazione della trama (che non segue la linearità del tempo) e la semplificazione di alcuni personaggi (tipo la coppia di colore, ovvero gli ultimi proprietari di casa), in particolar modo nella parte iniziale, effettivamente molto più sbrigativa e cervellotica. Critiche comprensibili, oggettive, che però non tengono conto di un dettaglio basilare: un film di questo tipo, con una struttura di questo tipo, non poteva trascinarsi per più dei 104 minuti di lunghezza che sono la durata-base per un prodotto del genere. Approfondire ogni sequenza, dare il giusto spazio ad ogni situazione, avrebbe significato allungare i tempi in maniera eccessiva rendendolo ridondante e faticoso per lo spettatore, che alla lunga si sarebbe stancato di questo gioco d'incastri che, come tutti giochi, è bello quanto dura il giusto...
A livello recitativo, Zemeckis opta per una scelta precisa: far interpretare tutto il film dalle stesse coppie di attori, anche se le scene si svolgono in epoche diverse. Gli viene incontro la tecnologia, attraverso il cosiddetto de-aging, ovvero il "ringiovanimento digitale", procedimento computerizzato che trasforma la fisionomia attuale dei protagonisti in quella di tot anni prima. Operazione anche questa non troppo gradita dai puristi ma che qui viene eseguita con uno scopo chiaro: dare continuità e significato al tempo che passa, sulla pelle di ciascuno di noi, per evidenziare ancora di più quanto siamo legati ai nostri ricordi. Inutile dire che a scaldare i cuori del pubblico ci pensano Tom Hanks e Robin Wright, di nuovo insieme trent'anni esatti dopo Forrest Gump (che peraltro viene spesso citato nel film) e pronti a struggersi di nuovo l'uno per l'altra.
A loro spetta il compito di commuovere ed empatizzare con gli spettatori, e specie nel finale si fa davvero fatica a trattenere le lacrime. Here è un'opera malinconica, dolcissima, tenera, cui la tecnologia funge solo da strumento per imbastire un film a suo modo doloroso, che esalta l'importanza della memoria per raggiungere la felicità o quantomeno la pace con noi stessi, attraverso fotogrammi che restano vividi nella mente. Il messaggio è chiaro: non sono i luoghi a commuoverci ma coloro che li hanno vissuti, magari scrivendovi pure pagine importanti. Una storia dolceamara sullo scorrere del tempo e sul senso dei rimpianti, che magari non farà troppa presa sul pubblico giovane ma che di sicuro piacerà ai boomer come me, che ormai sono ben oltre il guado di metà esistenza...
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