titolo originale: MARIA (CILE/ITALIA, 2024)
regia: PABLO LARRAÌN
scengiatura: STEVEN KNIGHT
cast: ANGELINA JOLIE, PIERFRANCESCO FAVINO, ALBA ROHRWACHER, HALUK BILGINER, VALERIA GOLINO, KODI SMIT-McPHEE
durata: 123 minuti
giudizio: ★★★☆☆
Insomma, lo dico chiaro: pur ritenendo Maria un film tecnicamente perfetto, preferisco di gran lunga il Larraìn politico, impegnato, quando fa film scomodi, coraggiosi e spesso "scorretti" come Post Mortem, No, Il Club, lo stesso Jackie, o il recente e provocatorio El Conde, folgorante allegoria contro la dittatura girato con sopraffina intelligenza. Film capaci di smuovere le coscienze e farci riflettere su un passato tragico, affinchè certi errori non si ripetano. Al contrario, il Larraìn patinato, impeccabile ma freddo come il ghiaccio, che gira con enorme tecnica ma pochissimo cuore pellicole che ritraggono donne accumunate dal lutto e dal dolore (che però noi spettatori stentiamo a sentire), onestamente fa molta fatica a far breccia nelle mie emozioni.
E anche Maria è una storia di morte, esattamente come lo erano Jackie e Spencer. Larraìn lo mette in chiaro fin da subito, quando da una porta (sempre aperta, come desiderava la divina Callas) vediamo un cadavere sul pavimento che fa da prologo ai lunghi flashback che si alternano a un'intervista immaginaria (la Callas in realtà odiava i giornalisti), tesi a farci rivivere i momenti-clou del passato glorioso della protagonista. La sceneggiatura di Steven Knight ha quantomeno il merito di restituirci l'immagine "mitica" della diva, senza invece indugiare troppo su una dimensione privata del tutto simile a quella di tante altre star sul viale del tramonto: giustamente, Knight sceglie di seguire la regola fordiana stampando leggenda in luogo della realtà, relegando alla fredda cronaca il difficile e umile privato degli ultimi giorni. A raccontare quello ci pensano la coppia di domestici composta da Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher, custodi discreti e (quasi) silenti degli ultimi giorni della loro padrona.Maria, lo ribadisco ancora, è un film formalmente impeccabile e stilisticamente anche più equilibrato di Spencer: non ci sono deliri horror, virtuosismi di macchina, visioni oniriche ad effetto. Vorrebbe essere un melò puro, devastante, incentrato in tutto e per tutto su una concezione dolorosissima e assoluta dell'amore, quel grande amore più volte bramato dalla Divina e mai corrisposto, talmente dirompente da portarla alle estreme conseguenze. Tuttavia, di tutto questo dolore ci viene restituita solo una minima parte, insufficiente a farci trepidare come avremmo voluto. Va detto che anche la scelta di girare tutto il film in lingua inglese per il mercato internazionale non aiuta: ai fini di un maggior realismo sarebbe stato meglio far parlare ogni personaggio con la propria lingua (sì, anche in italiano...)
I momenti più toccanti arrivano quindi dalle musiche, dall'Opera, dal palcoscenico, ma quasi mai si trasformano in veri sentimenti (complice ancora una volta una regìa fin troppo asettica e distante dai personaggi). Il risultato d'insieme - lo dico - è un affresco nobile ma pure noiosetto, che non credo resterà mai impresso nella mente dello spettatore. Angelina Jolie con tutta probabilità porterà a casa una candidatura all'Oscar (e non sarebbe uno scandalo) ma, giusto per fare un confronto, la Natalie Portman risoluta e devastata di Jackie era su ben altri livelli, come del resto l'intero film.
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