titolo originale: THE APPRENTICE (CANADA, 2024)
regia: ALI ABBASI
sceneggiatura: GABRIEL SHERMAN
cast: SEBASTIAN STAN, JEREMY STRONG, MARIA BAKALOVA, MARTIN DONOVAN, MARK RENDALL
durata: 122 minuti
giudizio: ★★★☆☆
New York, anni '70. Il giovane rampollo Donald Trump viene preso sotto l'ala protettrice dello spregiudicato avvocato Roy Cohn, che gli insegnerà i segreti, i trucchi e il cinismo che regolano lo spietato mondo degli affari. Inutile dire che l'allievo imparerà molto in fretta...
Così, The Apprentice ha incassato negli Stati Uniti la miseria di dieci milioni di dollari, meno della metà di quanto è costato: non ha fatto la fine di Loro di Paolo Sorrentino (acquistato dai figli di Silvio Berlusconi per non essere mai trasmesso) ma poco ci è mancato. E non è bastata nemmeno la passerella al Festival di Cannes a far decollare gli incassi nel resto del mondo: prontamente "scomunicata" da Trump in campagna elettorale ("film falso e privo di stile...") la pellicola di Abbasi è caduta quasi subito nell'anonimato, Italia compresa. Ragion per cui la curiosità di vedere questo film "maledetto" mi è venuta ancora di più. Al termine della visione, però, non ho potuto far altro che avvalorare la mia prima impressione: The Apprentice non avrebbe potuto essere altro che un flop, non solo perchè è stato ovviamente boicottato, ma anche perchè non è affatto quel film incendiario e scandaloso che ci si poteva aspettare... anzi. E' più un film sul "sistema-Trump" che su Trump stesso, e pur approfondendo con cognizione di causa l'ambiente e il contesto in cui Trump è cresciuto, non è propriamente un film di denuncia sulla persona bensì una riflessione ad ampio raggio sull'America cinica e ipercapitalista degli anni '70-'80.
E' evidente, infatti, vedendo il film, che Abbasi punti il dito più che sul personaggio di Trump (che ci viene descritto fin dall'inizio come un uomo mediocre e senza valore, privo di qualsiasi abilità) su tutta una logica di pensiero che porta il suo diabolico mentore Roy Cohn a instradare il suo ingenuo allievo a tenere una condotta spietata, senza scrupoli, senza etica, totalmente disamorale nei confronti di chiunque (anche dello stesso Cohn, che il giovane Donald non esiterà a scaricare una volta arrivato al potere), in linea con la politica destrorsa, ultraconservatrice e individualista degli Stati Uniti dell'epoca. Quello che infatti l'infido Cohn insegna fin da subito a Trump è che la spregiudicatezza professionale non solo è tollerata dalla società americana, ma è anche l'unico modo per preservare il Mito del Sogno Americano, nell'interesse di tutto il Paese...
In un certo senso, e non è affatto un difetto, per molti aspetti The Apprentice ricorda parecchio un altro recente bel film a tema, Armageddon Time di James Gray, in cui guardacaso anche lì compariva un giovane Donald Trump nei panni di un ricco mecenate di una scuola privata, i cui allievi venivano completamente lobotomizzati a un'educazione reazionaria e del tutto personalistica. E del resto in The Apprentice lo stesso Trump (interpretato da Sebastian Stan) viene lobotomizzato in tutto e per tutto da Cohn, che lo plasma e lo trasforma da sprovveduto palazzinaro a squalo della finanza, secondo tre semplici regole: andare all'attacco, negare sempre, non ammettere mai le proprie debolezze. Il rapporto tra Cohn e Trump (che, per chi è cinefilo, può far venire in mente quello tra Joaquin Phoenix e Philip S. Hoffman in The Master di PT Anderson) è la cosa più interessante del film, merito soprattutto di un bastardissimo Jeremy Strong (probabile candidatura all'Oscar in arrivo), il cui personaggio riflette in pieno lo stereotipo del potente corrotto e corruttore, figlio perverso del sistema.
A Abbasi interessa di più descrivere il mondo intorno a Trump piuttosto che fare un biopic puro e semplice su una figura in ogni caso non significativa nella storia americana: non a caso molti passaggi vengono appena abbozzati, altri semplificati, altri decisamente smussati (come lo stupro della moglie Ivana), ma nonostante questo il film riesce a restituire uno spaccato credibile della pochezza morale e culturale non tanto di una persona quanto di una Nazione intera, che infatti l'ha prontamente rieletto (quasi) a furor di popolo. Purtroppo, come noi italiani ben sappiamo, non basta certo un film a smuovere le coscienze di un Paese: The Apprentice non ha smosso alcun risultato nella corsa alle presidenziali, poichè i detrattori di Trump non avevano comunque bisogno di un film per convincersene (e per questo lo hanno snobbato) mentre i suoi sostenitori l'hanno boicottato a prescindere. Amaro destino di un film politico come tanti.
The Master non è di Michael Mann,ma di Paul Thomas Anderson
RispondiEliminaSono ufficialmente rincoglionito. Certificato. :(
Eliminap.s. ho corretto, grazie mille!
Un po' piatto in effetti come film. L'ho trovato comunque utile come "bignami" per capire chi era Trump e come è arrivato in cima. Non mi è comunque dispiaciuto.
RispondiEliminaBuona giornata.
Mauro