martedì 19 novembre 2024

GIURATO NUMERO 2

titolo originale: JUROR #2 (USA, 2024)
regia: CLINT EASTWOOD
sceneggiatura: JONATHAN ABRAMS
cast: NICOLAS HOULT, TONI COLLETTE, J.K. SIMMONS, ZOEY DEUTCH, CHRIS MESSINA, KIEFER SUTHERLAND
durata: 114 minuti
giudizio: 


Justin Kemp, giovane ex alcolista e futuro padre di famiglia, si ritrova a prestare servizio come giudice popolare in un processo per femminicidio. Durante il dibattimento, però, si renderà conto di essere lui stesso il colpevole e di aver ucciso una ragazza investendola con l'auto dopo averla scambiata per un cervo, delitto per cui ora è imputato l'ex fidanzato. Deciso a non confessare la verità ma divorato dai sensi di colpa, cercherà in tutti i modi di non far condannare un innocente...




Saranno almeno vent'anni che ogni volta esce un nuovo film di Clint Eastwood sentiamo dire che è l'ultimo. E ovviamente ogni volta si parla di film-testamento: a questo giro ci si è messa pure la Warner Bros. che, oltre ad aver boicottato Giurato numero 2, perlappunto l'ultimo film di Clint, distribuendolo (si fa per dire) in appena una cinquantina di sale prima di mandarlo in streaming, lo ha perfino dichiarato pubblicamente... ovviamente senza che l'interessato abbia mai proferito parola. Ci sarebbe tanto da dire sul cinismo e l'ingratitudine di una major hollywoodiana che dopo cinquant'anni di collaborazione e una valanga di dollari incassati dà il benservito a uno dei suoi personaggi più rappresentativi ma, parafrasando Il Signore degli Anelli, non è proprio questo il giorno: perchè la notizia è che Clint Eastwood è comunque tornato a girare un film, malgrado innumerevoli traversie, e al momento è questo che conta.

Per certi versi è vero: Giurato #2 (lo scriviamo così per brevità) sembra a tutti gli effetti un film-testamento. Ma lo sembravano anche Cry Macho, Richard Jewell, The Mule, Sully... la spiegazione è semplice: Eastwood è un regista dalla coerenza granitica, come uomo prima che come Autore, e tutto il suo cinema non può che prescinderne. La visione del mondo del 94enne Clint non è mai cambiata: i suoi film sono storie di uomini, quasi sempre soli, che lottano per se stessi in un'America che si autoproclama "la più grande democrazia al mondo" ma che in realtà non protegge i suoi figli, quasi sempre con la complicità delle Istituzioni. Eastwood, lo sapete, è un vecchio repubblicano mai pentito. Probabilmente avrà votato per Trump, come otto anni fa, ma la sua idea di "destra" è profondamente diversa e ben più nobile della destra che (purtroppo) conosciamo noi: la sua morale è nota, quella di una società non solidale e disillusa, dove ognuno si salva da solo, e dove ognuno non deve rendere conto a nessun altro salvo che alla propria coscienza...

E c'è proprio un caso di coscienza alla base di Giurato #2, robusto legal-movie tutto imperniato sulla difficoltà delle scelte e sulla fragilità degli uomini. Lo schema, ormai lo sapete, ricalca quello de La parola ai giurati di Sidney Lumet: c'è un giovane padre di famiglia (Nicolas Hoult, molto bravo) che viene chiamato a far parte di una giuria popolare che dovrà decidere su un presunto caso di femminicidio. Una ragazza è stata trovata morta in fondo a un burrone durante una serata di pioggia e tutto lascia pensare che l'omicida sia il fidanzato, irascibile e violento. Ma Eastwood svela subito la verità: a ucciderla è stata proprio il protagonista del film, che durante il rientro a casa l'ha urtata involontariamente con la macchina e l'ha fatta cadere nella scarpata, scambiandola per un cervo. La differenza con il film di Lumet è sostanziale: se ne La parola ai giurati la ricostruzione dei fatti era del tutto indiziaria qui, al contrario, sappiamo con certezza chi è stato, e viviamo insieme al protagonista il suo difficilissimo dilemma morale: confessare tutto e liberarsi la coscienza oppure tacere e far condannare un innocente al posto suo?

Se al posto di Eastwood ci fosse stato, che so, uno Steven Spielberg qualsiasi, già sappiamo come sarebbe andata a finire: l'assassino si dichiara colpevole, finisce orgogliosamente in carcere dove sconterà in maniera esemplare la pena, e avrà sempre accanto la sua dolce metà a sostenerlo. Ma Eastwood sa che la vita vera non è un dramma hollywoodiano... sa che le cose non sono mai semplici e lineari come vorremmo: soprattutto se l'assassino è un ex alcolista che si è faticosamente rifatto una vita, che aspetta un figlio da una moglie che adora e che lo adora, la quale a sua volta è al secondo tentativo di gravidanza dopo un aborto spontaneo e che stavolta sta per mettere al mondo un bambino bellissimo. Un idillio faticosamente conquistato, che una tragica fatalità sta per spazzare via. Il protagonista, comprensibilmente, tentenna, cercando di dare un calcio al cerchio e uno alla botte: non confesserà il crimine ma farà di tutto per far assolvere l'imputato, illudendosi così di lavarsi la coscienza.

Il personaggio interpretato da Nicolas Hoult va così ad aggiungersi a quelli di Richard Jewell, di "Sully" Sullenberger, del cecchino infallibile di American Sniper... persone semplici, normali, costrette a confrontarsi con situazioni più grandi di loro e inesorabilmente sole di fronte agli eventi. Il tutto nella totale indifferenza di un'America insensibile e corrotta, desiderosa soltanto di trovare un colpevole per mettere lo sporco sotto al tappeto. In questo, Giurato #2 può davvero considerarsi la prosecuzione naturale di Richard Jewell: siamo di nuovo in Georgia (stato bigotto, clericale, da sempre ostinatamente repubblicano) e di nuovo Eastwood mette alla berlina le Istituzioni: gli altri undici giurati che devono decidere sulla vita di un imputato si basano su prove sommarie, fabbricate dalla polizia, e soprattutto sulle loro irrazionali convinzioni (spesso razziste), nonchè sulla superficialità di chi vuole solo tornare a casa prima possibile dalle rispettive famiglie... il cinismo della politica è ben rappresentato anche dalla pubblica accusa, nei panni della procuratrice distrettuale interpretata da Toni Collette, in corsa per un seggio elettorale e ben consapevole che un verdetto di colpevolezza le spianerebbe la strada verso la vittoria.

Si resta ancora una volta stupefatti dalla lucidità e dalla concretezza di Eastwood nel girare un film praticamente perfetto, privo di tempi morti, al solito essenziale (non hai mai la sensazione che possa durare un minuto più del necessario) e capace di reggere la tensione emotiva per due ore filate, senza sosta, sempre tenacemente e ostinatamente orientato verso una morale amarissima, verso una disillusione di fondo nei confronti di un Paese in cui, da tempo, non si riconosce più. L' ex "cavaliere pallido" continua a portare avanti la sua idea di un cinema asciutto e per nulla modaiolo, senza scendere a patti con l'industria (che infatti lo ha boicottato) ma con un'energia e una capacità di arrivare al pubblico inimmaginabili per un regista ultranovantenne. 
Avercene.
Alla prossima, vecchio Clint.
  

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