titolo originale: BERLINGUER: LA GRANDE AMBIZIONE (ITALIA, 2024)
regia: ANDREA SEGRE
sceneggiatura: ANDREA SEGRE, MARCO PETTENELLO
cast: ELIO GERMANO, ROBERTO CITRAN, PAOLO PIEROBON, FRANCESCO ACQUAROLI, ELENA RADONICICH, FABRIZIA SACCHI, NIKOLAJ DANCEV
durata: 122 minuti
giudizio: ★★★☆☆
La vita, pubblica e privata, di Enrico Berlinguer, storico segretario del Partito Comunista Italiano, negli anni che vanno dal 1973 (quando sfugge a un attentato in Bulgaria) fino al 1978 (con l'uccisione di Aldo Moro e la fine del Compromesso Storico)
"A me la parola "comunista" non ha mai fatto paura, perchè la associavo a quella faccia, a quella correttezza, a quell'onestà. In Italia il comunismo era Enrico Berlinguer"
Sono parole, udite udite, di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, che nel 2014 intervistato da Walter Veltroni per il suo documentario Quando c'era Berlinguer, con queste due righe riassumeva meglio di chiunque altro la figura del più amato leader politico italiano di sempre: Berlinguer non era solo un segretario di partito, era prima di tutto un uomo di cui la gente si fidava, per il suo carisma, il suo parlar chiaro, diretto, senza secondi fini e sempre dalla parte dei più deboli, arrivando a intercettare i consensi anche di chi non era di estrazione prettamente sinistrorsa: sotto la sua guida il Partito Comunista Italiano riuscì a raggiungere i 12 milioni di voti e quasi 2 milioni di iscritti arrivando a rappresentare stabilmente un terzo dell'elettorato, risultati mai più raggiunti da nessun'altra forza politica progressista (il PD di Renzi lo superò percentualmente alle Europee del 2014 - raccogliendo il 40% dei voti - ma con un milione di consensi in meno).
E' da qui che parte il film di Andrea Segre, presentato all'ultima Festa del Cinema di Roma e appena uscito nelle sale dove ha fatto registrare numeri ragguardevoli (ad oggi lo hanno visto circa 200mila spettatori): un pubblico non solo di "nostalgici" ma sorprendentemente eterogeneo, fatto anche di tanti giovani più o meno idealisti che non trovando corrispondenza nella politica di oggi guardano a Berlinguer come un idolo, un totem, una figura quasi mitizzata che stride parecchio con l'uomo-Berlinguer, persona schiva e padre di famiglia, che certo tutto avrebbe voluto tranne che diventare un simbolo di individualismo, lui che anteponeva a qualsiasi cosa la collettività e il bene del Paese. La Grande Ambizione del titolo non è certo, infatti, quella personale di Berlinguer, bensì l'utopia del "compromesso storico", ovvero il dialogo tra governo e opposizione, l'unione delle forze democratiche che, senza rinunciare alle proprie identità, avrebbero dovuto collaborare per il bene comune, per risollevare un'Italia messa al tappeto dalla crisi economica e dagli anni di piombo.Come andò a finire lo sappiamo tutti, almeno spero. Berlinguer: la grande ambizione è la cronaca di una sconfitta, di una battaglia persa tragicamente e finita con la morte di Aldo Moro, il contraltare dell'utopia berlingueriana. Eppure da quella sconfitta il popolo della sinistra seppe risollevarsi, generando gli anticorpi per gli anni futuri e contribuendo ad evitare una deriva antidemocratica che avrebbe potuto riservare sviluppi ancora più tragici.
In questo, la figura di Berlinguer fu fondamentale per tenere unito il Paese, anche a discapito del consenso politico: dopo la morte di Moro il PCI andò incontro a un declino inesorabile, irreversibile, senza però mai speculare sulla tragedia ed evitando sempre di gettare benzina sul fuoco per fini elettorali. Il film di Andrea Segre ripercorre quasi filologicamente questo percorso storico-politico, stando ben attento (forse troppo) a non cadere mai nella retorica. Segre è principalmente un documentarista, e si vede: non solo per l'uso frequente delle immagini di repertorio, ma più che altro per la messinscena (volutamente) lineare e cronologica degli eventi: non aspettatevi quindi una ricostruzione pindarica "alla Bellocchio", bensì una cronaca precisa e dettagliata di quei cinque anni fondamentali per Berlinguer e per l'Italia. Non vi stupirà, ma vi farà capire tutto.
Il film si apre con l'attentato a Berlinguer a Sofia, nell'ottobre del 1973, ordito con ogni probabilità dai servizi segreti bulgari. Berlinguer si salva per miracolo, ma non denuncerà mai l'episodio: un po' per non inasprire un clima politico già fin troppo caldo, un po' per tener buona l'area filosovietica del partito... è l'inizio di un lustro che cambierà per sempre la storia italiana: un lustro costellato da grandi gioie (le elezioni del 1976, con il PCI al suo massimo storico, la vittoria del referendum sul divorzio, la DC di Andreotti costretta a scendere a patti con i comunisti) e tremende difficoltà (lo strappo con il PCUS di Breznev), fino all'uccisione di Aldo Moro del 1978 ad opera delle Brigate Rosse. In mezzo vediamo un Berlinguer umanissimo ma risoluto, che rovescia il partito come un calzino epurando coloro che non vogliono la discontinuità con l'URSS e che allo stesso tempo è tenero con la sua famiglia, gioca a calcio con i figli e cerca di spiegare loro, peggio che in Parlamento, la linea del partito. Ad interpretarlo c'è un grande Elio Germano, impressionante nella mimica, nella voce e nella postura del segretario, a fronte di un trucco non proprio somigliantissimo. Germano è superlativo nel restituire alla figura di Berlinguer la risolutezza e al contempo la fragilità e la dedizione assoluta di un uomo semplice eppure autentico trascinatore.
La Grande Ambizione è un film che merita assolutamente di essere visto. Per i più giovani per capire un pezzo di storia che quasi mai a scuola viene studiato, per i meno giovani per rivivere, rinfrescare e portare avanti un ricordo. Ma non pensiate che il lungometraggio di Segre sia solo amarcord: come scrive Alberto Crespi su Strisciarossa, "La Grande Ambizione di Berlinguer è la grande tragedia dell'Italia del dopoguerra [...] ogni militante vedrà il film a modo suo. Lo sappiamo bene: ancora oggi ciascuno di noi ha il "suo" Berlinguer. La discussione ripartirà, è inevitabile, il film di Andrea Segre oltre a raccontare la tragedia di questo paese è una miccia accesa nelle memorie politiche e morali di ciascuno di noi".
Intendiamoci, il film non è esente da difetti: come detto, l'ho trovato fin troppo trattenuto, freddo, in certe parti quasi caricaturale (tipo l'incontro con Andreotti, che comunque era già caricaturale di suo). Come se per evitare di cadere troppo facilmente nella retorica e nella lacrima a comando il regista lo abbia "asciugato" fin troppo, esagerando nella sottrazione. Gli manca un po' di benzina, un po' di verve, un po' di sana e struggente emozione... quell'emozione che arriva "solo" negli ultimi dieci minuti, quando Berlinguer raccoglie la famiglia facendo promettere a moglie e figli che, nel caso dovesse capitargli quello che è capitato a Moro, la loro linea dovrà essere sempre quella della fermezza e del rifiuto della trattativa con i rapitori. Un momento straziante, toccante, che fa capire meglio di mille interviste e commenti lo spessore etico e morale di Berlinguer. Poi il film fa un salto temporale di un altro lustro, con le didascalie finali che scorrono sulle immagini dei funerali, partecipati da oltre un milione e mezzo di persone.
E allora lì sì, che, finalmente, possiamo abbandonarci alle lacrime.
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