titolo originale: TATAMI (GEORGIA/USA, 2023)
regia: GUY NATTIV, ZAR AMIR EBRAHIMI
sceneggiatura: GUY NATTIV, ELHAM ERFANI
cast: ARIENNE MANDI, ZAR AMIR EBRAHIMI, JAIME RAY NEWMAN, NADINE MARSHALL, LIRR KATZ
durata: 110 minuti
giudizio: ★★★★☆
Leila, campionessa iraniana di judo, ha la possibilità di vincere la medaglia d'oro ai Campionati del Mondo di Tbilisi, in Georgia, ma durante la gara riceve dalla propria federazione l'ordine di ritirarsi (fingendo un infortunio) per non correre il rischio di dover incontrare in finale un'atleta israeliana...
Ovviamente non lo scopriamo certo ora: sappiamo bene quanto il regime di Teheran sia autoritario nei confronti dei suoi cittadini (e delle donne in particolare) e quanto la censura di stato impedisca agli stessi di esprimersi e confrontarsi con il mondo esterno. Succede nell'arte e nella cultura, sport compreso, che anzi viene sovente utilizzato come strumento propangandistico e grancassa mediatica.
Ma nello sport può succedere anche l'imponderabile, ovvero che la propaganda si ritorca contro i propangandisti stessi: perchè nello sport non c'è niente di certo o scontato, di arbitrario, perchè la sorpresa e il sovvertimento dei pronostici sono all'ordine del giorno e ne costituisce l'essenza. Succede così che la forte judoka iraniana Leila Hosseini (una splendida, intensissima Arienne Mandi), sospinta dalla sua allenatrice Maryam Ghambari (Zar Amir, anche regista e già miglior attrice a Cannes 2022 per Holy Spider), contro ogni logica mandi giù al tappeto un'avversaria dopo l'altra e si ritrovi a un passo dal giocarsi la medaglia d'oro ai Mondiali. Solo che più Leila va avanti e più cresce su dei, fino letteralmente a soffocarla, il peso della pressione liberticida della propria federazione. Gli ordini sono crudeli, tassativi: l'Iran non potrà mai correre il rischio di perdere un'eventuale finale da un'atleta israeliana. Meglio piuttosto fingere un infortunio e ritirarsi prima, per evitare problemi. La ragion di stato contro l'etica sportiva e i sacrifici fatti per raggiungere certi livelli (Leila è moglie e madre, e per arrivare ai Campionati del Mondo ha rinunciato per anni a godersi la famiglia...)
Rifiutarsi, disobbedire, andare contro il proprio governo è chiaramente una scelta scellerata: Leila non si piega, vuole andare fino in fondo per difendere la sua dignità di atleta e di donna. E' perfettamente consapevole di cosa comporterà tutto questo: punizioni, minacce di morte (per lei e i suoi famigliari), processi sommari, carcere, torture. Troppo, anche per una "tosta" come lei: rifuggendo miracolosamente ogni forma di retorica e virando la narrazione in un bianco e nero necessario (per non edulcorare la vicenda), in Tatami il calvario di Leila diventa la ribellione di un paese intero contro la follia della dittatura. Leila è destinata a soccombere contro un qualcosa di più grande (viene ripudiata da tutti: compagne, staff, tv, perfino - almeno inizialmente - la sua allenatrice) eppure lotta in completa solitudine per una sacrosanta battaglia di libertà. Tatami è un film potente e simbolico, volutamente lineare, dichiaratamente evocativo: la sequenza in cui Leila, in seguito a un attacco di panico per la troppa tensione, si strappa di dosso il soffocante hijab e scioglie i capelli davanti alla telecamera, diventa l'emblema della speranza per milioni di connazionali inerti per la paura. E' la scena più bella ed emozionante del film, e la speranza è un giorno tutti i giovani iraniani residenti in patria possano davvero riuscire a vederla.
Ma Tatami non è "solo" un buon film di denuncia, che comunque sarebbe già molto. E' soprattutto un ottimo film sportivo: oserei dire che è uno dei film sportivi più belli ed emozionanti degli ultimi anni, e chi mastica un po' cinema sa bene quanto sia difficile rendere sul grande schermo il pathos e la tensione della competizione sportiva. Tatami ci riesce benissimo attraverso un montaggio serrato, le riprese da terra dei combattimenti, l'ossessività dei primi piani delle atlete, le inquadrature dall'alto della sala gremita al cospetto di due (piccole) donne che combattono in un quadrato microscopico (nell'obiettivo) che pare fregarsene della grandezza della loro sfida, che si svolge tutta nell'arco di una (lunga) giornata. Non si guarda mai l'orologio ma si guardano i corpi avvolti in accappatoi gonfi, che a dispetto delle apparenze si librano in movimenti duri, non certo aggraziati ma mai violenti, quale è la nobile arte del judo.
Tatami è una caparbia opera prima scritta e diretta a quattro mani da una regista iraniana (la già citata Zar Amir) e da una regista israeliano, Guy Nattiv: si sono incontrati due anni fa a un festival e hanno deciso di portare avanti un progetto coraggioso, pur consapevoli degli enormi rischi (professionali e non solo) che questo avrebbe comportato. Il film è stato girato quasi interamente a Tbilisi, in Georgia, in gran segreto e senza alcuna promozione. Non si tratta di una storia vera e non si riferisce a nessun caso particolare, ma la sceneggiatura rende omaggio a tutti quegli atleti, spesso silenziosi, minacciati dalla follia di regimi totalitari e islamofobi come quello persiano. E ci pare di poter dire che il risultato è assolutamente meritorio, sia dal punto di vista sociale che da quello strettamente cinematografico. A Venezia è passato quasi inosservato, relegato nella sezione Orizzonti e mai preso in considerazione dalle giuria. Avrebbe meritato, e alla grande, il Concorso principale.
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