titolo originale: AMERICAN FICTION (USA, 2023)
regia: CORD JEFFERSON
sceneggiatura: CORD JEFFERSON
cast: JEFFREY WRIGHT, STERLING K. BROWN, ERIKA ALEXANDER, TRACEE ELLIS ROSS, ISSA RAE
durata: 117 minuti
giudizio: ★★★☆☆
Thelonious "Monk" Ellison è un professore universitario di colore nonchè scrittore frustrato: i suoi libri vendono poco e la sua vita privata è a pezzi, rasserenata solo dalla timida storia d'amore con Coraline, una donna separata che vive di fronte alla sua casa al mare. Un giorno però Monk, per ripicca e sfogo personale, decide di scrivere sotto pseudonimo un libro satirico per prendere in giro l'ipocrisia editoriale nei confronti della letteratura "black", ottenendo inaspettatamente un enorme successo...
Non ci vuole molto a capire perchè American Fiction, forte di ben cinque candidature all'Oscar tra cui quella per il miglior film, sia uscito in Italia come un fulmine a ciel sereno e quasi "clandestinamente", ovvero solo in streaming e buttato nella mischia da Amazon Prime Video senza uno straccio di preavviso o pubblicità. Risposta semplice: American Fiction è il classico film intellettuale americano, costruito su misura per ambire ai premi (come in effetti è avvenuto) ma troppo cerebrale ed elitario per rischiare un'uscita in sala. Attenzione: non sto parlando di difetti, anzi, il film ha molte qualità, ma certo non può dirsi un titolo da grande pubblico. E forse, considerata la tipologia della pellicola, è quello che autori e produttori volevano, chissà...
L'asse portante di American Fiction si regge su un concetto chiaro: rifiutare e contestare, con una buona dose di ironia, tutti gli stereotipi, il benpensantismo e l'ipocrisia che sono alla base di una certa convenzione sociale, nella fattispecie quella riguardante la comunità afroamericana e la relativa black-culture. Non a caso nel film non si parla mai di ghettizzazione, periferie, armi e droga, tutt'altro: siamo all'interno di un'università qualunque, dove un professore qualunque (Thelonious "Monk" Ellison, alias Jeffrey Wright, bravissimo) è costretto a prendersi un periodo di aspettativa forzata dovuta a una crisi personale e creativa. Monk è infatti (anche) uno scrittore stimato ma di scarso successo commerciale: le critiche che gli rivolgono gli editori sono quelle di essere troppo colto, pacato, riflessivo, in parole povere troppo borghese per fare breccia nel suo mercato di riferimento - quello afro, perlappunto - desideroso invece di leggere le "solite" storie di emarginazione e violenza, in pratica quelle che scrive la pasionaria Sintara Golden (Issa Rae), scrittrice "incazzata" capace di vendere milioni di copie sul tema.
L'asse portante di American Fiction si regge su un concetto chiaro: rifiutare e contestare, con una buona dose di ironia, tutti gli stereotipi, il benpensantismo e l'ipocrisia che sono alla base di una certa convenzione sociale, nella fattispecie quella riguardante la comunità afroamericana e la relativa black-culture. Non a caso nel film non si parla mai di ghettizzazione, periferie, armi e droga, tutt'altro: siamo all'interno di un'università qualunque, dove un professore qualunque (Thelonious "Monk" Ellison, alias Jeffrey Wright, bravissimo) è costretto a prendersi un periodo di aspettativa forzata dovuta a una crisi personale e creativa. Monk è infatti (anche) uno scrittore stimato ma di scarso successo commerciale: le critiche che gli rivolgono gli editori sono quelle di essere troppo colto, pacato, riflessivo, in parole povere troppo borghese per fare breccia nel suo mercato di riferimento - quello afro, perlappunto - desideroso invece di leggere le "solite" storie di emarginazione e violenza, in pratica quelle che scrive la pasionaria Sintara Golden (Issa Rae), scrittrice "incazzata" capace di vendere milioni di copie sul tema.
Succede però che Monk, per frustrazione e per reazione, in una notte alcolica decide di scrivere un instant-book pieno proprio di tutti i peggiori stereotipi sulla società afroamericana, perculandone sardonicamente tutti i luoghi comuni di cui sopra. E, meraviglia delle meraviglie, il libro riscuote un successo immediato, clamoroso, tanto da diventare un autentico "caso" letterario ed arrivare (ovviamente!) fino a Hollywood, con gli Studios pronti a ricoprire d'oro il suo autore se questo accetterà di ricavarci la sceneggiatura per un film. Per Monk è un vero e proprio corto circuito: dopo una vita intera trascorsa a combattere un "sistema" che porta notorietà e guadagni facili sfruttando l'ipocrisia wasp sui neri d'America, ecco che lui stesso, seppure in incognito, si ritrova travolto e totalmente asservito a quel sistema che tanto disprezza. Morale della storia: l'importante è rimanere integri con se stessi, soprattutto professionalmente, ricercando nella vita privata e nelle proprie relazioni quella stabilità e quella serenità necessarie per affrontare con il giusto equilibrio i dilemmi che la vita ti pone di fronte. Senza prese di posizione donchisciottesche e senza al contempo rinnegare il proprio modo di essere. Che poi è quello che dovremmo fare un po' tutti...
E' un film intelligente e anche un pochino snob, American Fiction. Che di sicuro non si fa apprezzare per ritmo e dinamicità (diciamo pure che per lunghi tratti è piuttosto verboso e fa fatica a "scorrere") ma che riesce a rendere bene l'idea di quanto sia importante la giusta distanza tra etica personale, pregiudizi culturali (la superiorità morale della borghesia bianca) e vittimismo compiacente (quello degli afroamericani). Gran lavoro di sceneggiatura da parte dell'esordiente Cord Jefferson (meno a suo agio invece nella regia) ma soprattutto gran bella interpretazione del protagonista, Jeffrey Wright, che curiosamente agli Oscar dovrà vedersela contro un altro ostico "professore", ovvero il Paul Giamatti di The Holdovers, e sarà davvero una bella lotta. Personalmente, però, tra il prof burbero dal cuore d'oro (non proprio originalissimo) interpretato da Giamatti e il prof pieno di dubbi, rancoroso e malinconico di Wright, per indole e carattere preferisco nettamente quest'ultimo.
me lo segno, lo voglio vedere :)
RispondiEliminapoi fammi sapere! 😊
EliminaPieno di idee interessanti e concetti giusti, ma poco coinvolgente a livello di regia e anche di sceneggiatura. Dà l'idea di perdersi in tutta la carne che mette al fuoco e, a mio avviso, l'errore più grande è quello di non sfruttare di più la metatestualitá che è il fulcro delle sequenze più riuscite.
RispondiEliminapoco coinvolgente sì, sono d'accordo, però direi solo a livello di regìa: soggetto e sceneggiatura secondo me sono perfetti, molto sagaci. A mio avviso questa sceneggiatura "rischia" davvero di vincere l'Oscar e direi che sarebbe un premio meritatissimo. Magari, come ho scritto, è troppo autoriale per piacere al grande pubblico, ma complessivamente mi è piaciuto molto
EliminaMi tocca recuperarlo stanotte
RispondiEliminadiventa quasi un lavoro!! 😂❤️
EliminaAppena visto. "Intelligente e anche un pochino snob", concordo. A me è piaciuto, è chiaro che va visto in lingua originale per apprezzare al meglio alcuni passaggi. Come spesso capita con operazioni di questo tipo il coraggio provocatorio degli autori finisce la benzina sul più bello (in questo caso una sorta di assoluzione per Sintana che "dà al mercato ciò che il mercato chiede, che male c'è?" dichiarazione liberatoria che ha però il difetto di annacquare tutto il j'accuse alla base dell'opera). Valido, comunque, con un mai troppo apprezzato Jeffrey Wright. (monty)
RispondiEliminaConcordo su tutto, in particolare sulla versione originale che è in effetti indispensabile
EliminaMi è piaciuto tantissimo, l' ho trovato scorrevole e molto ironico.Originale. Lui mi è sempre piaciuto come attore.
RispondiEliminaWright è un grande attore, purtroppo quest'anno non aveva possibilità perché un piccolo film come American Fiction, distribuito solo in piattaforma, poco o nulla poteva contro i kolossal che si sono contesi l'Oscar. Ma l'interpretazione del suo protagonista non si discute.
EliminaMi trovi d'accordo su tutto, e decisamente anche sull'ultima preferenza in fatto di "prof". E a proposito di Oscar: e se tra i due alla fine la spuntasse invece il buon Cillian?!
RispondiElimina... è andata proprio così! E tutto sommato direi che è andata bene 😊
EliminaFinalmente una sceneggiatura intelligente che smonta tutta l'ipocrisia bianca su certi luoghi comuni. Felicissima per l'Oscar vinto!
RispondiEliminaPensa che c'è chi mi ha detto che questa sceneggiatura è un bluff, il prezzo da pagare al black Power (dimostrando di avere capito tutto del film! 😊). Il mondo è bello perché è vario. A me fa benissimo così
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