titolo originale: AKU WA SONZAI SHINAI (GIAPPONE, 2023)
regia: RYUSUKE HAMAGUCHI
sceneggiatura: EIKO ISHIBASHI, RYSUKE HAMAGUCHI
cast: HITOSHI OMIKA, RYUJI KOSAKA, AYAKA SHIBUTANI, RYO NISHIKAWA
durata: 106 minuti
giudizio: ★★★★☆
Un tranquillo villaggio di montagna rischia di vedere stravolto il suo ecosistema dalla costruzione di un "glamping", ovvero un campeggio di lusso per clienti facoltosi. La popolazione non lo accetterà.
La trama è ridotta all'osso: c'è un villaggio di montagna incastonato nella natura. C'è un boscaiolo solitario (ma con una figlia a carico), tuttofare, misterioso, taciturno, al quale però tutti danno retta. Si capisce che ha avuto un passato complicato, ma il film non ci dà riferimenti in merito. E poi ci sono due funzionari che arrivano dalla metropoli per annunciare la prossima costruzione di un campeggio di lusso: un'opera che dovrebbe portare tanti soldi nelle tasche degli autoctoni ma anche tanta preoccupazione per gli aspetti logistici e naturalistici di impatto ambientale. Tutto il film si barcamenerà tra lo straniamento della coppia "cittadina", evidentemente fuori contesto, e i sentimenti, le paure e le considerazioni della gente comune, non abituata ai ritmi del capitalismo.
Nonostante la durata standard del film (poco più di un'ora e mezza) sono tanti gli argomenti trattati da Hamaguchi: dall'evidente messaggio ambientalista alla critica verso il progresso tecnologico, spesso asettico e impersonale (vedasi i frequenti, strani "malfunzionamenti" di cellulari e computer); dalla (in)capacità delle persone di parlarsi, spiegarsi e confrontarsi (basti vedere la sequenza dell'assemblea pubblica, con poche secche domande poste nel silenzio gelido degli astanti: in Italia sarebbero volati sedie e insulti) al ruolo di ognuno di noi nella comunità; dal fardello di una natura bucolica e matrigna contrapposta alla vacuità di chi ne vive lontano, dentro uffici asettici e grattacieli di cemento... davvero tanti spunti, ben raccordati però da una visione d'insieme di ampio respiro capace di far comprendere allo spettatore un quadro complicato e sfaccettato come la vita, che cambia significato a seconda da che parte lo si guardi.
Film inizialmente ostico, non lo nego, in cui si fa fatica a comprenderne lo sguardo contemplativo, lentissimo, alienante che accompagna le prime scene: sequenze di un uomo che spacca la legna, che raccoglie acqua sorgiva, che si dimentica di andare a prendere la figlia appena tornata da scuola da quanto è radicata in lui la commistione con il luogo senza tempo in cui vive... schegge di vita domestica, quotidiana, che però già lasciano intuire il dilemma esistenziale che si svilupperà di lì a poco e verso il quale tutti saranno costretti a fare i conti. Anche loro malgrado.
Il male non esiste è un'opera di chirurgica perfezione, esemplare nel mettere a fuoco non solo l'eterno confronto tra uomo e natura, ma soprattutto l'equilibrio fragile del mondo e di noi stessi. Contraendo le lungaggini e asciugando all'osso i dialoghi, Hamaguchi ci regala in appena 107 minuti un film di struggente lirismo, che tuttavia non manca di sconvolgere il pubblico con un crescendo emotivo ansiogeno e angoscioso, il quale trova compimento in un finale criptico, apparentemente indecifrabile, assolutamente inaspettato, scioccante, di disturbante intensità, ma che a mente fredda riconosciamo essere l'unico possibile. Vedere per credere.
come non essere d'accordo?
RispondiEliminaabbasso la caccia e il capitalismo!
https://markx7.blogspot.com/2023/12/il-male-non-esiste-ryusuke-hamaguchi.html
ah ah! quello sempre! Hasta la victoria siempre! ✊🏻
Eliminaun abbraccio sincero!
Gran bel film, avendo visto Drive my car ero molto curioso di vederlo e mi ha molto colpito come ha esposto il rapporto quasi simbiotico tra la popolazione del paese e la natura circostante. Visto le poche recensioni trovate in giro (praticamente nessuna) volevo chiederti che interpretazione hai dato tu al finale.
RispondiEliminaGuarda, ti dico la verità, ho visto il film alla Mostra di Venezia oltre tre mesi fa e dovrei rivederlo per darti una risposta precisa... da quello che ricordo, però, il finale mi pareva un gesto di ritorsione del padre nei confronti dello "straniero" venuto dalla città. Se non ricordo male, l' "uomo di città", seppur in buona fede", fa spaventare il cervo che quindi a causa sua uccide la bambina. E per il padre questa è un'azione che non può perdonare. In pratica il finale rappresenta l'incomunicabilità tra due mondi troppo distanti.
EliminaMa, ripeto, dovrei rivederlo.