titolo originale: INDIANA JONES AND THE DIAL OF DESTINY (USA, 2024)
regia: JAMES MANGOLD
sceneggiatura: JEZ BUTTERWORTH, JOHN-HENRY BUTTERWORTH, DAVID KOEPP, JAMES MANGOLD
cast: HARRISON FORD, PHOEBE WALLER-BRIDGE, MADS MIKKELSEN, TOBY JONES, ANTONIO BANDERAS, JOHN RHYS-DAVIES
durata: 154 minuti
giudizio: ★★☆☆☆
Mentre l'America si prepara a festeggiare gli astronauti dell'Apollo 11, rientrati dalla Luna, il professor Indiana Jones va in pensione senza troppa gloria: solo, povero, invecchiato, abbandonato dalla moglie (che ha chiesto la separazione) viene risvegliato dal torpore dalla figlioccia Helena, abile truffatrice e trafficante d'arte, decisa ad recuperare le parti mancanti sparse in giro per il mondo di un prezioso Quadrante appartenuto ad Archimede di Siracusa che, una volta assemblato, pare abbia il potere di far viaggiare nel tempo chi lo possiede. Non sarà facile, però: sulle tracce del prezioso oggetto c'è anche un nazista fanatico che non si rassegna alla sconfitta di Hitler e vuole tornare indietro di trent'anni per cambiare le sorti della II Guerra Mondiale...
E dire che in realtà il film, tolte le parti ridondanti, non sarebbe neppure così terribile: James Mangold è un buon regista drammatico (sono suoi gli ottimi Copland, Ragazze interrotte, Quando l'amore brucia l'anima) che però non è evidentemente a suo agio nel fantasy (i due modesti spin-off di Wolverine lo lasciavano presagire). Indiana Jones 5 è infatti un film solido ma che non sorprende mai: anche senza voler fare per forza un confronto - perso in partenza - con l'inarrivabile quadrilogia di Steven Spielberg, è palese che in questo quinto capitolo manchi soprattutto lo stupore, la scintilla, la magìa di una saga che aveva la sua forza proprio nella capacità di sorprendere ogni volta lo spettatore con avventure inimmaginabili, che stimolavano voli di fantasia durante la visione e lo portavano alla scoperta di mondi fantastici, tutti visti attraverso gli occhi del prode Indiana Jones.
Mi si ribatterà che non è facile dopo oltre quarant'anni e cinque film inventarsi meraviglie... e ci sta. Ma allora si doveva spingere di più sul versante nostalgia e puntare sull'affetto del pubblico e degli appassionati, servendogli un'opera tutta cuore e malinconia che si rivolgesse in particolar modo a loro (operazione che, ad esempio, era riuscita benissimo a Tom Cruise con il notevole Top Gun: Maverick, ma anche - senza sbilanciarsi troppo - all'ancora più commerciale Fast X). L'ultimo Indiana Jones invece fallisce anche sotto questo aspetto: ci sono, è vero, molti rimandi ai film precedenti, ma i riferimenti si riducono a un giochino per cinefili, che si divertiranno a riconoscerli ma che non trasmetteranno loro alcuna emozione, diluiti in 154 minuti dove anche la famosa "marcetta" di Indy (lo storico tema musicale composto dal "mitico" John Williams) viene resa quasi insopportabile dopo averla ascoltata 700 volte: il troppo stroppia, sempre. E il detto "non ci stancheremmo mai di..." nel cinema è retorica pura. Almeno per me.
A salvarsi dalla noia sono soprattutto gli attori: Harrison Ford è ancora in forma, si vede e si capisce che adora il suo personaggio (e non giurerei che questa sia davvero l'ultima avventura del vecchio Indy... sono sicuro che, fosse per lui, andrebbe avanti all'infinito) mentre la sua nuova partner, Phoebe Waller-Bridge, se la cava più che bene come spalla. Mads Mikkelsen dal canto suo è ormai specializzato nei ruoli da "nordico cattivo", e poi c'è pure un Antonio Banderas che con molta umiltà si riserva un buon ruolo da comprimario, senza pestare i piedi a nessuno. Un cast ben assortito che però non basta a salvare un film loffio e poco ispirato: James Mangold aveva dichiarato di sapere bene come trattare le saghe intoccabili (non si capisce in base a cosa e a quali si riferisca, ma vabbè...) tuttavia il risultato gli dà torto non essendo riuscito ad imprimere al film una sua impronta nè a traghettare indenne Indy verso l'ultima spiaggia. A dimostrazione, semmai ce ne fosse bisogno, che non può davvero esistere un Indiana Jones senza Spielberg e Lucas.
Paga ovviamente qualche dazio alla contemporaneità, come il solito viaggio nel "multiverso", ma tutto sommato a me non è dispaciuto. Le due ore e mazza mi sono scorse bene. Forse l'errore è quello di confrontarlo con gli alti film della saga
RispondiEliminaIndubbiamente sì, hai ragione. Infatti non ho scritto che è un film inguardabile, perché in effetti non lo è. Però, permettimi, quando ti cimenti in questo tipo di opere il confronto con l'originale è inevitabile l. Non si scappa. Non si può recensire un "Indiana Jones" come fosse un film qualunque. Mangold ha scritto che sapeva bene come affrontare un tale compito... beh, vorrei sapere come.
EliminaVoglio troppo bene al vecchio Indy per trattarlo male, del resto al cuore non si comanda. Questo però non c'entra niente con la tua recensione, che ovviamente rispetto.
RispondiEliminaBuon weekend.
Mauro
Ma figurati Mauro! Il cuore è il cuore. E non dico altro. Buon weekend anche a te!!
EliminaPurtroppo non posso che condividere la delusione: la versione "ringiovanita" di Indy è orribile, è incredibile quanti danni abbia arrecato la tecnologia al cinema attuale! Preferisco rivedermi in loop la quadrilogia di Zio Steven :(
RispondiEliminaCome ho risposto anche a un mio caro amico che mi ha posto una domanda simile, ti dico che per me la CGI non è né un bene né un male. È uno strumento a disposizione del regista e come tale può essere usato bene o male. Ecco, diciamo che qui invece di un uso si è fatto un (a)buso. Succede
EliminaVolevi dire "con l'inarrivabile trilogia di Steven Spielberg" vero?
RispondiEliminaSaluti
T.S.
Vabbè, dai... "Il teschio di cristallo" non è all'altezza dei primi tre, è vero, però in confronto a questo è oro! Diciamo che ho voluto abbondare ;)
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