Smettiamola, per favore, di dire che "di questi film se ne fanno fin troppi...". Semmai è vero il contrario, ovvero che se ne fanno sempre troppo pochi (in Italia, poi, quasi nessuno, ed è molto triste per un cinema come il nostro che una volta era in prima linea per impegno civile. E menomale che ci hanno pensato i lavoratori della GKN a smuovere le acque di un'opinione pubblica immobile: onore a loro e al loro #insorgiamo, il "reality" più bello che ci possa essere): Stéphane Brizè e Eric Gravel analizzano lucidamente il mondo del lavoro di oggi, ormai sempre più in mano di chi vuole il profitto a tutti i costi, alla faccia di tutto il resto. E poi ci pensa Jacques Audiard a parlarci di giovinezza, precarietà e amore, in un manifesto dolente della generazione Z (i trentenni di oggi) come Parigi, 13 arr. Tre film francesi, tre film importanti, tre film che dimostrano, semmai ce ne fosse bisogno, l'incredibile vitalità del cinema transalpino. Ormai, inutile nasconderlo, anni luce superiore al nostro.
UN ALTRO MONDO
(di Stéphane Brizè, Francia 2021)
Ancora Vincent Lindon (dopo i bellissimi In guerra e La legge del mercato), questa volta nei panni incravattati di un dirigente d'azienda incaricato di gestire l'ennesimo taglio del personale richiesto dalla proprietà. Il regista Stéphane Brizè chiude la sua trilogia sul mondo del lavoro con un film chirurgicamente agghiacciante, girato con stile realistico, volutamente asettico, ovattato e freddo come le stanze del potere, dove a comandare non sono tanto gli stessi manager quanto il famigerato "sistema", lo spietato mondo della finanza che non accetta nessun'altra regola se non quella del profitto a tutti i costi. Qui non vediamo la brutale esasperazione della lotta di classe (come nel precedente In guerra) bensì assistiamo alla composta impotenza di chi, anche avendo gli strumenti per cambiare le cose, è costretto a deporre le armi in nome della propria coscienza. Il finale non è drammatico come in In guerra ma, se possibile, ancora più desolante. E terribilmente vero.
giudizio: ★★★★☆
FULL TIME
(di Eric Gravel, Francia 2021)
Julie (una splendida Laure Calamy, premio Orizzonti a Venezia) è una madre single che ogni mattina deve correre per arrivare in tempo a lavoro, in una Parigi inospitale, caotica e tutt'altro che romantica, peraltro paralizzata da uno sciopero dei trasporti che mette a dura prova la vita dei pendolari. Fotografia di una guerra tra poveri, tra precarietà a confronto, disagi, isteria ed esasperazione, una specie di thriller tesissimo dove però tutto è reale, compresa la commovente ostinazione di Julie nel voler tenere insieme il suo fragile castello di carte (il lavoro, i figli, la stabilità economica) che si è costruita con tanta fatica. Un film che ricorda per forza di cose il cinema di Ken Loach, ma molto più ansiogeno e coinvolgente, che aggiunge alla denuncia sociale la riflessione sul difficile ruolo delle donne madri e lavoratrici, da sempre purtroppo l'anello debole della catena. Assolutamente da vedere.
giudizio: ★★★★☆
PARIGI, 13 ARR.
(di Jacques Audiard, Francia 2022)
Un film straniante e disorientante, e non solo perchè il sottoscritto vive in un mondo agli antipodi di quello che si vede sullo schermo: ormai ho quasi il doppio degli anni dei protagonisti del film, non ho mai amato i fumetti (la vicenda è tratta da una graphic-novel) e soprattutto ho vissuto una giovinezza fatta di stabilità lavorativa e concretezza di intenti. Invece Jacques Audiard descrive il mondo visto dalla parte dei trentenni di oggi, la loro vita fatta di incertezze, precarietà e confusione, soprattutto affettiva: solo il sesso (ampiamente mostrato e quasi meccanico) pare essere il loro unico mezzo di comunicazione, in una Parigi (quella del quartiere Olympiades, nel 13. distretto) fatta di palazzoni impersonali e identici, fotografata in un bianco e nero che azzera (volutamente) quasi del tutto le emozioni. Film d'autore, complesso e ostico, ma che riesce nello scopo: farci percepire lo spaesamento di una generazione nata, cresciuta e condizionata dall'incertezza.
giudizio: ★★★☆☆
Parigi,13Arr. l'ho evitato, già il contesto mi ispirava poco. Penso che vedrò Full Time anche se sono sincera, questi temi angosciano e considerati i tempi abbiamo già di che preoccuparci, spero almeno ci sia un finale di speranza.
RispondiEliminaHo letto buone recensioni in merito a questo film.👋
ATTENZIONE SPOILER! :)
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sì, posso dirti che il finale di "Full time" è un finale di speranza... o forse no :) il fatto è che arriva inaspettato e un po' "appiccicato": comunque se andrai a vederlo sappimi dire.
Il film di Audiard è un po' straniante, è fatto ad uso della generazione cui parla. Però merita una visione, è uno di quei film che fanno riflettere.
A presto!
SPOILER
RispondiEliminaDunque dunque, un film coinvolgente, ansiogeno, una corsa lungo tutto il film e noi corriamo con lei.
Sequenze pazzesche, immagino la fatica di chi ha dovuto correre con una telecamera in mano, in spazi ristretti, a volte ti chiedi come lei in particolare nell'appartamento non ci sia mai sbattuta addosso. Non me ne intendo di tecnica, ma qui ti rendi conto anche da profana di quanto lavoro ci sia dietro un film del genere.
Qualche forzatura? Forse, giusto per rendere il contesto più pesante.
Qualche sconcerto? Sì, mi ha colpito la frase: "Se non vuoi più pulire la merda dei ricchi puoi andartene" 😠 Ma veramente uno può arrivare a conciare un bagno in quel modo, ma perché?!?!?
Hai ragione, il finale l'ho trovato consolatorio, avrei preferito un finale aperto. Sembrerebbe una consolazione ma poi alla fine se ben ricordi al colloquio parlavano di orari lunghi che spesso si sarebbero protratti fino a sera inoltrata, e dunque... arriva il lavoro ma ricomincia la sua corsa ad ostacoli e questo ti fa pena, per fare un lavoro che ami devi fare veramente i salti mortali, tanto varrebbe lavorare al supermercato vicino casa.
Ma una lettera al suo ex marito da un avvocato, no???? Assurdo e purtroppo non troppo lontano dalla realtà.
Un buon film, lei bravissima 👍
No, anzi. E' un film fin troppo vicino alla realtà. E quel finale così "posticcio" inquieta ancora più di un finale aperto. E la sequenza (volutamente schifosa) del "bagno dei ricchi" è eloquente e simbolica: i ricchi possono permettersi di fare ciò che vogliono, anche conciare un bagno in quel modo (indipendentemente dal motivo) e restare naturalmente impuniti...
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