sabato 13 marzo 2021

FINO ALL' ULTIMO INDIZIO


titolo originale:
THE LITTLE THINGS (USA, 2021)

regia: JOHN LEE HANCOCK
sceneggiatura: JOHN LEE HANCOCK
cast: DENZEL WASHINGTON, RAMI MALEK, JARED LETO
durata: 128 minuti
giudizio: 



Los Angeles, anni '90. Lo sceriffo Dake Deacon, ormai prossimo alla pensione, si ritrova con il giovane e poco ortodosso collega Baxter a dover indagare su un serial killer che semina il panico in città. I sospetti ricadono su Albert Sparma, un inquietante personaggio che lavora in un negozio di riparazioni poco lontano dal luogo dell'ultimo omicidio...




Sembra proprio essere l'anno delle sceneggiature "ibernate": prima è arrivato David Fincher, che ha rispolverato dopo trent'anni il copione di Mank, scritto da suo padre, per ricavarne un film (probabilmente) da Oscar, e poi lo stesso ha fatto John Lee Hancock, che ha ripreso un suo soggetto dei primi anni '90 e lo ha girato l'anno scorso dopo altrettanto lunga incubazione. Con una differenza sostanziale, però: mentre Mank racconta di una storia comunque passata (la Hollywood degli anni '30), Fino all'ultimo indizio doveva essere inizialmente un film contemporaneo, figlio del suo tempo... cosa che invece non può dirsi oggi, con lo spettatore costretto suo malgrado a sorbirsi un film invecchiato malissimo.

Se infatti negli anni '90 il genere "serial killer" andava per la maggiore, soprattutto per merito di due grandi film usciti quasi contemporaneamente (Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme e Se7en, perlappunto dello stesso Fincher) che avevano ridato dignità al thriller, genere fino allora confinato nel ghetto dei b-movies, Fino all'ultimo indizio è un film che è rimasto cristallizzato nella sua epoca e non riesce a uscirne, dove tutto sa di già visto, scontato, soprattutto dopo un trentennio dove di pellicole siffatte ne sono uscite a iosa, tanto da creare nel pubblico una certa assuefazione (per non dire stanchezza) che certo influisce anche sul giudizio finale del nuovo (si fa per dire) lavoro di Hancock.


Inutile girarci intorno: chiunque guardi oggi Fino all'ultimo indizio non potrà non vederci una scopiazzatura in pessimo stile di Se7en. Gli ingredienti infatti ci sono tutti, e sono sempre gli stessi: c'è il "solito" killer psicopatico che uccide giovani vittime, la "solita" coppia di detective poco assortita (uno vecchio e disilluso, l'altro giovane e spregiudicato, poco incline alle regole), il "solito" finale inquietante e per nulla catartico che lascia il "solito" dubbio su chi sia in effetti il vero assassino (e non tacciatemi di spoilerare, perchè il colpo di scena finale è talmente telefonato che lo capirebbe anche un bambino). E proprio come in Se7en c'è la ormai stanca ripetizione di una morale nichilista e confusa che arriva decisamente fuori tempo massimo, dopo che è stata ampiamente propinata al pubblico per quasi tre decadi.

E nemmeno un cast composto da ben tre premi Oscar è sufficiente per fare un film da Oscar: solo Denzellone Washington ha ancora il carisma e lo phisique du role per reggere il confronto con un altro gigante d'ebano (il Morgan Freeman di Se7en), mentre invece nè lo stralunato Rami Malek nè un caricaturale Jared Leto riescono a calarsi nei loro ruoli con l'empatia necessaria per assicurare alla pellicola un'inquietudine che non viene mai captata, anche se (forse) nemmeno per colpa loro: è infatti difficile per un attore entrare in un certo tipo di personaggio se nella sceneggiatura non c'è alcuno studio a fronte, nè un minimo approfondimento psicologico delle loro figure. Fino all'ultimo indizio assomiglia a un videogame di guardie e ladri, "consumato" distrattamente da uno spettatore che si trastulla con la leva del joystick...

Un film anacronistico, sorpassato, involuto, che trent'anni fa avrebbe magari cavalcato con un successo un filone che di lì a poco si sarebbe perfino inflazionato, ma che visto oggi fa lo stesso effetto di un reperto archeologico riportato alla luce da una troupe poco esperta. Nel frattempo il cinema è cambiato e con esso le sue storie, il suo approccio al genere si è annacquato in mille rivoli, non ultimo quello della serialità che forse è la dimensione più congeniale per questo tipo di prodotto (non dimentichiamoci di una serie già cult come True Detective, forse la migliore di sempre sul tema e che con ogni probabilità ha chiuso ogni discorso legato al genere). Il fatto poi che Fino all'ultimo indizio esca direttamente in streaming e non al cinema è, paradossalmente, simbolico del destino di un film stretto in una dimensione televisiva e domestica che ne è forse la collocazione più naturale...

 

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