titolo originale: LIGHT OF MY LIFE(USA, 2019)
regia: CASEY AFFLECK
sceneggiatura: CASEY AFFLECK
cast: CASEY AFFLECK, ANNA PNIOWSKI, ELISABETH MOSS
durata: 119 minuti
giudizio: ★★☆☆☆
In un futuro apocalittico, dove quasi tutte le donne sono state sterminate da un virus letale, un padre cerca di mettere in salvo la figlia dodicenne travestendola da maschio e vagando per i boschi in cerca di un posto sicuro...
L'idea (sempre in teoria) era affascinante: immaginare un universo senza donne, un pianeta Terra ormai devastato e maltrattato dagli esseri umani dove un terribile virus ha pressochè decimato la popolazione femminile, e dove le poche donne rimaste vive sono costrette a nascondersi per non incorrere nella violenza degli uomini, che le ricercano per mero strumento di riproduzione o, più brutalmente, per soddisfare i loro bassi istinti sessuali... in questo tetro contesto, un padre (Casey Affleck, appunto) traveste da maschio la figlioletta dodicenne e fugge nei boschi insieme a lei per evitare spiacevoli incontri.
La mèta è ovviamente illusoria: raggiungere il nord degli Stati Uniti, al freddo, nei villaggi, dove la popolazione è scarsa e i pericoli per le ragazze sono minori. Ma la speranza è vana: il mondo dipinto da Affleck è un incubo virato in colori grigi, spenti, dove i sopravvissuti, quasi tutti uomini, si muovono come lupi assetati di sangue, come frotte di balordi allo sbando pronti a divorarsi a vicenda. Light of my life è una specie di western distopico dove l'azione lascia il passo alla riflessione, senza però (purtroppo) aggiungere null'altro a una trama e un contesto già abbondantemente abusati.
Peccato, perchè l'analisi sociale si limita ai primi minuti di pellicola, in cui papà Affleck prova a spiegare alla figlia come si è arrivati a questo punto di non ritorno: lo fa raccontandole una fiaba inventata che rievoca la parabola di Noè e dell'arca, in cui l'uomo goffamente disquisisce sulla differenza tra etica e morale, su cosa sia giusto o sbagliato in un mondo senza regole, su come ci si debba comportare in un contesto di ordinaria devastazione. Il problema è che subito dopo questa specie di prologo il film già si incarta, gira a vuoto, perdendo ogni interesse e trasformandosi in uno stravisto e scontato road-movie che mette insieme (male) situazioni già viste mille volte in altri film più celebri, da The road di Hillcoat a I figli degli uomini di Cuaròn, e che poco aggiungono a questa cinematografia di genere.
Oltretutto, Light of my life è una pellicola priva di ritmo, poco avvincente, di una noia mortale. Va bene riprendere il concetto filosofico di natura come luogo di salvezza, ma il cinema contemplativo (diciamo "alla Malick", per capirci, anche se è blasfemo utilizzare questa locuzione in ogni frangente, specie in questo caso) richiede una cultura e un talento estetico che il debuttante Affleck evidentemente al momento non possiede: non bastano lunghe sequenze senza dialoghi e inquadrature sui volti contriti, persi nel vuoto, per infondere autorialità a un film faticosissimo e loffio, dove anche l'Affleck attore non si discosta mai dal suo "solito" personaggio taciturno e bastonato, del tutto inespressivo, che gli ha pure fruttato un Oscar ma che rischia di ingabbiarlo in un clichè stile Clint Eastwood prima maniera (col cappello o senza cappello, col sigaro o senza sigaro...)
Un film più importante (per l'argomento) che bello, con cui il regista (anche lui sotto accusa in passato per accuse di molestie sessuali) prova a ricostruirsi una specie di "verginità" artistica e morale, necessaria in un ambiente da sempre ipocrita e bigotto come quello hollywoodiano. Ma che a noi spettatori disinteressati (alle logiche hollywoodiane) lascia piuttosto indifferenti.
In realtà non è un vero e proprio esordio, perché Casey Affleck ha già diretto il mokumentary su e con Joaquin Phoenix (molto bello tra l'altro secondo me). Questo film non sono ancora riuscito a vederlo ma lo farò comunque perché Affleck è un personaggio che mi piace, però effettivamente questo rimando a The Road mi lascia perplessa, perché sembra paro paro lo stesso film.
RispondiEliminaInfatti ho specificato che è la prima opera "di finzione" di Affleck: il documentario di cui parli lo vidi a Venezia diversi anni fa, e fu una specie di "apripista" per il genere mockumentary, tanto che ci cascammo un po' tutti... di sicura un'opera molto più "libera" e significativa, per me, di questo "Light of my life". Ammetto di non avere una gran considerazione dell'Affleck-attore, tuttavia sì: i rimandi a "The Road" e "I figli degli uomini" ci sono. Anche troppi, secondo me.
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