titolo originale: THE DEATH AND LIFE OF JOHN F. DONOVAN (CANADA, 2018)
regia: XAVIER DOLAN
sceneggiatura: XAVIER DOLAN, JACOB TIERNEY
cast: KIT HARINGTON, JACOB TREMBLAY, NATALIE PORTMAN, SUSAN SARANDON, KATHY BATES, THANDIE NEWTON, BEN SCHNETZER
durata: 127 minuti
giudizio: ★★★☆☆
Dieci anni dopo la morte di un famoso anchorman televisivo, un giovane attore ricorda il rapporto epistolare avuto con lui in tenera età e l'impatto che quelle lettere ebbero sulla sua vita.
Ovviamente Leonardo DiCaprio non ha mai risposto alla letterina di Xavier Dolan, ma quella lettera è vera, e lo stesso Dolan l'ha letta in pubblico in più occasioni. Va da sè dunque che La mia vita con John F. Donovan è, per forza di cose, il film più autobiografico e "sentito" del suo regista, e come tale va giudicato, almeno per quanto mi riguarda...
Chiariamo infatti una cosa, anzi due: per il sottoscritto questo film non è affatto così terribile e sbagliato come la maggior parte della critica si è affrettata a liquidarlo. E soprattutto è un film che, sempre a mio parere, va analizzato molto più dal punto di vista emozionale piuttosto che strettamente tecnico. Non per un mio sfizio, ma perchè tutto il cinema di Dolan è così: solo che se nei primissimi, acerbi lavori dell' ex enfant-prodige canadese c'erano delle "finezze" tecniche e stilistiche (a volte, diciamolo, anche molto ruffiane) che mandavano in sollucchero i critici, La mia vita con John F. Donovan è invece un film dalla struttura piuttosto convenzionale, forse voluta, che ti obbliga però a aprire il cuore ed empatizzare con i suoi personaggi principali (il ragazzino e il divo) riuscendoci in pieno. Innegabilmente.
E' curioso che a distanza di pochi giorni mi sia capitato di vedere due film speculari nell'argomento ma completamente opposti nella realizzazione: due film guardacaso non troppo amati dai recensori, sicuramente imperfetti, eppure allo stesso modo esemplari nel ritrarre le difficoltà sociali e relazionali del nostro tempo attraverso la metafora del plastificato mondo dello spettacolo, una prigione dorata dalla quale, paradossalmente, uscire è molto più difficile che entrare. Ma se in Vox Lux di Brady Corbet la critica al sistema è asettica e brutale, chirurgicamente calibrata (diciamo pure "hanekiana"), ne La mia vita con John F. Donovan i sentimenti ti prendono al cuore e non ti lasciano più, lasciandoti spossato.
E' qui che il film funziona: Dolan non racconta niente di nuovo (i giovani artisti che non sanno gestire la popolarità, il gossip che ti può distruggere la vita, la solitudine e la falsità dei rapporti umani in un mondo fatto di apparenza) ma lo sa raccontare con onestà e trasporto, riuscendo a rendere "universale" e naturale quella che, almeno in parte, è la sua storia privata: dall'omosessualità al difficile rapporto con la madre, dall'infanzia da nerd al cinema visto come forma di emancipazione e comunicazione, il grimaldello per vincere la timidezza. Una storia di crescita e (ri)genesi (proprio come in Vox Lux) che commuove e cattura con la sua naturalezza, senza però mai scivolare nella banalità.
L'ormai penultimo film di Dolan (uscito in Italia dopo quasi due anni) si articola su due livelli temporali: vediamo un bambino timido e complessato (Jacob Tremblay) che ha uno "strano" rapporto epistolare con un famoso attore televisivo (Kit Harington), che trova in quel suo giovanissimo fan l' unico confidente di una vita privata a pezzi, contrapposta ad un'immagine pubblica di successo. Anni dopo, quel ragazzino ormai diventato adulto (e a sua volta attore) racconterà la sua storia ad una giornalista spocchiosa e prevenuta (Thandie Newton) la quale, alla fine, resterà profondamente colpita dalla dolorosa vicenda personale del protagonista. Chiudono il cerchio, come quasi sempre con Dolan, due figure femminili forti e disperate, due mamme anch'esse agli antipodi per personalità e ruolo: Natalie Portman, madre assente e inadeguata (ancora una volta, guardacaso, come in Vox Lux) e l'intramontabile Susan Sarandon, madre disperata e protettiva, che assiste impotente alla crisi del figlio...
Lo abbiamo premesso fin dall'inizio: La mia vita con John F. Donovan è un film tutt'altro che perfetto, anzi decisamente squilibrato, ripetitivo negli argomenti e nei contenuti, scritto e riscritto troppe volte (fino a tagliare del tutto il personaggio di Jessica Chastain e incapace di rendere credibile la petulanza del piccolo Tremblay, che a otto anni si esprime e si atteggia come un colto trentenne) eppure si rimane lo stesso conquistati dalla sincerità della messinscena e dal calore umano dei personaggi. Certo però che adesso Dolan è davvero a un bivio: dopo sette film in dieci anni ci sarebbe bisogno di una svolta, se non artistica almeno contenutistica, che abbandoni almeno in parte certi "dogmi" (l'omosessualità, la famiglia, l'accettazione) per aprirsi di più al mondo "esterno", ad altri contesti e situazioni. Ma se anche ripetendosi riesce lo stesso a farci commuovere e pensare, come in questo caso, devo dire che a noi va benissimo anche così. Con buona pace della critica.
Quella letterina finale è il vero senso del film, secondo me. Non è facile per un regista esporsi così (ma direi per chiunque persona) e se non altro è un film coraggioso. Lo vedrò all'arena estiva tra qualche giorno, e la tua recensione mi conferma che è meritevole di visione.
RispondiEliminaBuon weekend, e un caro saluto.
Mauro
Esatto, Mauro. Hai capito perfettamente quello che volevo dire: Dolan è un regista "viscerale" per stile e contenuti e presuppone una visione in tal senso. Se lo prendi in questo modo, il film è assolutamente da vedere!
EliminaQuesta volta però il film mi pare molto "raffazzonato", e nemmeno gli attori sono granchè: il bambino è in effetti insopportabile, ma anche Harington (mai piaciuto) conserva lo stesso sguardo da paesce lesso dell'inizio alla fine. Non mi pare un valore aggiunto. Concordo con quello che dici nelle ultime righe: sarebbe ora che Dolan cambiasse genere!
RispondiEliminaCome ho scritto sopra, mai come nei film di Dolan i giudizi sono così soggettivi... quindi capisco quello che vuoi dire. A me Harington (a differenza del piccolo Tremblay) non è dispiaciuto, ma devo dire che non conosco i suoi trascorsi televisivi. Quanto a Dolan, penso anch'io che in questo modo rischia davvero di appiattirsi verso un vero e proprio sottogenere: però se lui trova ispirazione solo così, non possiamo dirgli nulla. Vedremo.
Eliminatotalmente d'accordo :)
RispondiEliminahttps://markx7.blogspot.com/2019/07/la-mia-vita-con-john-f-donovan-xavier.html
grazie! :)
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