titolo originale: IL TRADITORE (ITALIA/FRANCIA/BRASILE, 2019)
regia: MARCO BELLOCCHIO
sceneggiatura: MARCO BELLOCCHIO, LUDOVICA RAMPOLDI, VALIA SANTELLA, FRANCESCO PICCOLO, FRANCESCO LA LICATA
cast: PIERFRANCESCO FAVINO, LUIGI LO CASCIO, FABRIZIO FERRACANE, FAUSTO RUSSO ALESI, MARIA FERNANDA CANDIDO
durata: 148 minuti
giudizio: ★★★★★
1984: dopo essere scappato in Brasile per sfuggire alla spietata guerra tra palermitani e corleonesi, il mafioso Tommaso Buscetta viene arrestato dalle autorità locali per traffico di droga. Estradato in Italia, deciderà di collaborare con la giustizia rivelando al giudice Giovanni Falcone nomi, cognomi, ruoli e appartenenza dei principali esponenti di Cosa Nostra.
L'inizio sembra scimmiottare quello de Il Padrino: una villa maestosa, una cena elegante e opulenta, le donne che ostentano i loro vestiti di lusso, gli uomini che parlano d'affari, ovviamente loschi. Ma vi pare possibile che uno come Marco Bellocchio potesse cominciare un film in un modo così banale? E infatti basta poco per capire che le cose non tornano: l'apparente cornice della festa nasconde in realtà una tensione insostenibile tra famiglie che si odiano, una pace armata che durerà quanto un battito di ciglia, per fare posto a una nuova, ennesima guerra bestiale...
Questa è la principale differenza tra un "comune" film di mafia e Il Traditore: la bestialità, appunto. I mafiosi di Bellocchio non sono affatto personaggi "affascinanti", belli e dannati, scordatevi perciò De Niro e Al Pacino, Gomorra e Romanzo Criminale: qui la mafia viene (finalmente!) mostrata per quello che è, ovvero una montagna di m...elma, proprio come diceva Peppino Impastato. I suoi capi sono bestie feroci, rozzi, volgari, sgraziati, assetati di sangue, disumani. Nulla a che vedere con l'immaginario collettivo: Il Traditore è la storia di un soldato semplice che un giorno decise di dire basta. Lo fece (anche) per convenienza, certo, ma soprattutto perchè non riconosceva più il suo mondo, la sua famiglia.
Già, la famiglia. Tema da sempre ricorrente e ossessivo nei film di Bellocchio, fin dal lontano esordio con I pugni in tasca, oltre cinquant'anni fa: poco importa se si tratti della famiglia reale o di quella acquisita, allorchè insana e squilibrata come Cosa Nostra. La famiglia vista come cordone ombelicale, protettivo fino a diventare soffocante, con i suoi rituali e le sue leggi, dalla quale volente o nolente è impossibile uscire se non pagando un prezzo altissimo, folle.
Di questo parla Il Traditore: del limite oltre il quale non ci si può spingere, di quello che si è disposti a sacrificare pur di non rinnegare se stessi in nome di un'appartenenza senza senso.
Tommaso Buscetta era, appunto, un uomo d'onore: ultimo di 17 figli, amava la bella vita, le donne, il lusso, gli affari. Personaggio discutibile e controverso, apparteneva a un mondo antico, dove perfino la malavita aveva un'etica... pur essendosi arricchito enormemente grazie al traffico di droga (che aveva sostituito il contrabbando di sigarette e alcolici), non amava particolarmente quel tipo di "business", ben più pericoloso e remunerativo, le cui conseguenze le aveva vissute in prima persona: l'eroina gli aveva portato via un figlio e, indirettamente, altri due, morti ammazzati nella faida con i corleonesi. Per questo se n'era scappato in Brasile, sperando di farla franca godendosi i soldi accumulati. Eppure, incredibilmente, per una volta lo Stato arrivò prima, arrestandolo e traducendolo in Italia, dove appena uscito di galera avrebbe trovato morte certa...
Tommaso Buscetta era, appunto, un uomo d'onore: ultimo di 17 figli, amava la bella vita, le donne, il lusso, gli affari. Personaggio discutibile e controverso, apparteneva a un mondo antico, dove perfino la malavita aveva un'etica... pur essendosi arricchito enormemente grazie al traffico di droga (che aveva sostituito il contrabbando di sigarette e alcolici), non amava particolarmente quel tipo di "business", ben più pericoloso e remunerativo, le cui conseguenze le aveva vissute in prima persona: l'eroina gli aveva portato via un figlio e, indirettamente, altri due, morti ammazzati nella faida con i corleonesi. Per questo se n'era scappato in Brasile, sperando di farla franca godendosi i soldi accumulati. Eppure, incredibilmente, per una volta lo Stato arrivò prima, arrestandolo e traducendolo in Italia, dove appena uscito di galera avrebbe trovato morte certa...
Ed ecco quindi la decisione, clamorosa, di collaborare con la giustizia (nella fattispecie con il giudice Giovanni Falcone), per contribuire a scoperchiare un pentolone fatto di omertà e orrore che pareva inscalfibile. Buscetta confessa tutto ma non si "pente", almeno secondo il suo pensiero: non rinnega niente di ciò che ha fatto fino allora, ma non vuole più far parte di una famiglia che non sente più sua. Lui è ancora un "uomo d'onore", è il mondo che lo circonda ad essere cambiato, degenerato. I veri traditori sono i corleonesi, Totò Riina su tutti, che preferisce gli affari alle donne e gestisce Cosa Nostra in modo manageriale e spietato, rinnegando anche i legami di sangue senza guardare in faccia a nessuno. Il vero traditore è Pippo Calò, il mafioso amico d'infanzia che gli ucciderà due figli a mani nude... troppo, anche per un soldato della mafia.
Bellocchio, un "ragazzino" di ottant'anni che si conferma ancora una volta come il più visionario e sperimentatore tra tutti i registi italiani, gira un film clamorosamente bello, potente, appassionato, capace di inchiodarti alla sedia per due ore e mezza senza mai allentare la tensione, strutturato come un melodramma classico dove Buscetta assume le vesti del personaggio mitologico solo contro tutti, un gladiatore in un'arena piena di belve, la cui metafora è ben rappresentata, nella scena più emozionante e terribile del film, dalla sequenza in cui lo si vede entrare da solo nell'aula-bunker dell'Ucciardone con alle spalle i 475 mafiosi alla sbarra, chiusi dentro le gabbie come animali, che lo vorrebbero (letteralmente) sbranare. La scena è preceduta dalle immagini di tigri (vere!) riprese in uno zoo, il cui montaggio parallelo richiama la "bestialità" di cui parlavamo sopra...
Non è affatto un agiografia, e del resto lo si capisce fin dal titolo. Bellocchio "usa" Buscetta come pretesto per raccontare un pezzo difficile di storia italiana, in un paese che non ha mai fatto i conti fino in fondo con il proprio passato (con la mafia, con il terrorismo, con il fascismo...) ben evidenziando le lunghe ombre e i troppi segreti irrisolti della nostra democrazia. Buscetta è una persona spregevole e sa di esserlo, ma è ben consapevole di far parte di un "sistema" che produce mostri per sua natura, per il lassismo delle istituzioni e per il marcio della sua classe dirigente (non a caso nel film viene riportata fedelmente la celebre frase di Falcone "ho più paura dello Stato che della mafia...")
Pierfrancesco Favino è impeccabile nell'impersonare Buscetta. Lo ricalca in tutto: aspetto fisico, atteggiamento, movenze, perfino nel linguaggio (sebbene qualche critico zelante abbia avuto da eccepire sul dialetto siciliano). Ma è comunque parte di un ingranaggio perfetto, il film nel suo complesso, che raggiunge vette inusitate di emotività e tensione drammatica: la prima mezz'ora è piuttosto "scorsesiana", tutta ritmo e azione (geniale il "contatore" che sullo schermo aggiorna il numero delle vittime), una specie di preludio al nocciolo del film vero e proprio. Che infatti poi man mano comincia a dipanarsi in puro stile bellocchiano, carico di suggestioni e inserti onirici come solo il regista di Bobbio riesce ad inserire coerentemente nella narrazione. E che sono anche i momenti più belli e più "alti": Buscetta che percorre in bici i corridoi del carcere, l'amplesso con la prostituta, Andreotti che esce in mutande dalla sartoria... più metafora di così!
A tutto questo si aggiungono i tanti camei, tutti funzionali alla storia, che impreziosiscono un' opera ambiziosa e lineare, comprensibile ad ogni livello di lettura (fatto raro, e quindi - forse - voluto, per un film di Bellocchio) interpretati da attori bravissimi: Luigi Lo Cascio (che fa Salvatore Contorno), Fausto Russo Alesi (Giovanni Falcone), Nicola Calì (Totò Riina), Fabrizio Ferracane (Pippo Calò), Giovanni Calcagno (Tano Badalamenti). Il più bravo di tutti però è un mefistofelico Bebo Storti nel ruolo, piccolo ma terribile, dell'avvocato di Andreotti... una maschera cinica e spaventevole, perfetto esempio dei tempi che stiamo vivendo.
Hai ragione, è un film grandioso, appassionante, che si colloca a mio avviso tra le vette più alte del cinema d'impegno civile italiano. Sono contento di averlo visto, è una vera lezione di storia.
RispondiEliminaUn caro saluto e buonanotte.
Mauro
Sono felice di questo tuo entusiasmo, Mauro. Bellocchio è sempre stato attento all'impegno civile e alle trame oscure del nostro paese (non dimentichiamoci "Buongiorno, Notte") riuscendo però sempre a girare film originali e con uno stile inconfondibile.
EliminaUn caro saluto anche a te.
Un film impeccabile per l'accurata ricostruzione storica, la regia e il racconto degli eventi, con Bellocchio che come sempre ci mette del suo e lo "decora" con inserti surreali che incredibilmente calzano a pennello. Grandissimo Favino, meritava la Palma!
RispondiEliminaCondivido tutto, anche su Favino: meritava la Palma d'oro almeno quanto Banderas.
EliminaFinalmente un film italiano che voglio vedere e ovviamente il mio cinema non lo proietta :( lo recupererò appena possibile.
RispondiEliminaHa avuto una buona distribuzione e, considerati gli ottimi incassi del primo weekend, enso proprio che arriverà anche al tuo cinema: non disperare, Sonia! <3
EliminaBellocchio ha quasi sempre portato sullo schermo grandissimi film, e questo tuo pezzo non fa che aumentare l'hype per questo. Spero di poter concordare!
RispondiEliminaSì, e anche i cosiddetti film "minori" sono comunque pieni lo stesso di spunti di interesse. Non perderlo: appena lo avrai visto ne riparleremo ;)
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