regia: Natalie Portman (Israele/Usa, 2015)
cast: Natalie Portman, Amir Tessler, Gilad Kahana
sceneggiatura: Natalie Portman
fotografia: Slawomir Idziak
scenografia: Arad Sawat
montaggio: Andrew Mondshein, Hervè Schneid
musica: Nicholas Britell
durata: 96 minuti
giudizio: ★★★☆☆
trama: Negli anni '30, la giovane ebrea Fania emigra in Palestina insieme al padre, il marito e il piccolo Amos, suo figlio, per sfuggire alle persecuzioni naziste. Qui assisterà alla nascita di una nazione (Israele) e a un nuovo inizio per il suo popolo. Ma la sua vita privata non andrà affatto a gonfie vele: delusa da un matrimonio infelice e soffocata nelle sue ambizioni letterarie, sfogherà la sua creatività trasmettendo la sua passione al figlio, prima di cadere in depressione.
Invidiosi di che? Forse di un'attrice bellissima e dotata pure di un cervello pensante? Purtroppo il pregiudizio è duro a morire... è vero: Sognare è vivere (titolo italiano come al solito imbarazzante) non è un capolavoro e ha dei difetti evidenti, ma è anche un film coraggioso e ambizioso, tra i pochissimi a portare sul grande schermo un tema assai delicato come quello della nascita dello stato di Israele (con tutti i pregiudizi insiti già solo in questo approccio). Niente di strano, in apparenza, considerato che a dirigerlo è una ragazza nata a Gerusalemme da genitori israeliani, che parla correntemente lo yiddish ed è legatissima alla sua patria d'origine. Se però la ragazza in questione è una diva del cinema hollywoodiano, ecco che improvvisamente tutto si complica...
In realtà in pochi sanno che Natalie Portman ha impiegato ben otto anni per portare a termine quello che è il suo lungometraggio d'esordio, totalmente autoprodotto (perchè nessuno voleva farlo) e terminato con grande fatica. Otto anni dedicati in prevalenza a raccogliere fondi e cercare finanziatori, mettendo insieme un budget risicatissimo che ha condizionato non poco la riuscita della pellicola: tratto dal libro autobiografico dello scrittore Amos Oz, questo Storia d'amore e tenebra vorrebbe essere (o forse voleva essere) nelle intenzioni della regista un pampleth sulla nascita di una nazione e sulla diaspora ebraica, girato con grande onestà intellettuale.
Il risultato finale, tutto sommato, merita ampiamente la sufficienza. Le difficoltà economiche hanno costretto l'autrice a soffermarsi soprattutto sulla prima parte del romanzo, quella dedicata al rapporto tra il piccolo Amos e sua madre (interpretata della stessa Portman) e al dramma famigliare di quest'ultima: la protagonista, Fania, è una donna colta e istruita, sposata con un marito che non ama e costretta a rinunciare alle sue ambizioni letterarie a causa dell'indifferenza della famiglia e alle circostanze dettate dalla storia. Molto bello, a mio giudizio, il modo in cui il film mette in mostra lo straniamento (comune a molti ebrei dell'epoca) di una ricca famiglia borghese costretta a migrare dalla agiata residenza polacca alle strade assolate e polverose della Palestina... certo, si potrà obiettare che nel film è totalmente assente la visione politica, non viene mai menzionata o quasi la questione israelo-palestinese, ma è chiaro che per parlare di questo ci sarebbe voluta almeno un'altra ora di film e tanti, tanti altri soldi...
Natalie Portman invece preferisce dare un taglio intimista e privato al suo film, asciugando la sceneggiatura da ogni afflato patriottico e reazionario e evitando didascalismi di maniera. Ne viene fuori un film abbastanza ordinato ma obiettivamente poco coinvolgente, girato senza retorica ma anche senza slanci emotivi che appassionino lo spettatore. Indice sicuramente di scarsa esperienza e acerba professionalità da parte della neo-regista (non tutti si nasce geni come Xavier Dolan) ma anche di umiltà nell'approccio e rispetto per la Storia. La Portman per ora la preferiamo certamente come interprete piuttosto che come regista, e siamo sicuri che anche lei ne è perfettamente consapevole, tuttavia questa sua dignitosissima opera prima è tutto tranne che un film sbagliato. E che merita di essere visto.
Non l'ho ancora visto ma ti prendo in parola: essere una donna, per giunta bellissima ed ebrea, è come stampargli in faccia il pregiudizio. Almeno da noi. Ho letto stroncature incredibili di questo film, troppo cattive per essere vere. fermo restando che, credo, nessuno si aspettasse il capolavoro da un'opera prima.
RispondiEliminaSfondi una porta aperta: il pregiudizio purtroppo accompagna (ancora) buona parte della critica italiana e non solo. Per non parlare poi di "certe" recensioni e "certe" critiche che ormai assomigliano più a meri flani d'agenzia e scopiazzature velinistiche. Ma il discorso si farebbe lungo... in ogni caso sono d'accordissimo con te!
EliminaMa riusciresti mai a parlar male della tua Nathalie??
RispondiEliminaScherzo! Un bacione! :D
Ricambio il bacione :)
EliminaLo sai però che la questione è davvero seria? Si riparla del (pre)giudizio di cui sopra: è chiaro, ed è inevitabile, direi, che ognuno di noi recensisce in base ai propri gusti... e inoltre, da "dilettanti" quali siamo noi blogger, è anche giusto e perfino necessario che ognuno riversi le sue preferenze quando scrive. E' il bello dei blog, proprio per il fatto che non scriviamo per professione e non dobbiamo rendere conto a nessuno: forse "faziosi" (ma nemmeno tanto...) però certamente genuini!
Ma quando è uscito? Io non lo sapevo neanche!
RispondiEliminaHa avuto purtroppo una distribuzione pessima, un po' come tutti i titoli (non blockbuster) che escono in queste settimane
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