sabato 30 aprile 2016

LA FORESTA DEI SOGNI

(The Sea of Trees)
di Gus Van Sant (Usa, 2015)
con Matthew McCounaughey, Ken Watanabe, Naomi Watts
durata: 110 minuti


L'amore. La crisi. La perdita. La mancanza. Il dolore. Il rimorso. Non riesco ad immaginare una vita peggiore di colui che, sopravvissuto a un lutto (o comunque a un distacco), non ha fatto in tempo a "spiegarsi" con la persona amata, a trovare il coraggio o a scacciare l'orgoglio per ricostruire un rapporto. Di Gus Van Sant si potrà dire tutto, ma non certo che non sia un regista profondamente umano e rispettoso della sofferenza, da sempre attento ai delicatissimi meccanismi che regolano le nostre vite. Per questo, lo dico subito, La Foresta dei Sogni, pur essendo un film palesemente imperfetto, non merita le stroncature preconcette della critica e i beceri fischi che lo hanno accolto a Cannes, quasi come davanti a un plotone d'esecuzione... come in ogni sua opera si resta comunque colpiti dall'argomento trattato, desiderosi di riflettere. Che poi è forse l'aspetto più importante di un film.

Arthur Brennan (uno spaesato Matthew McCounaughey) è un uomo che ha smarrito la voglia di vivere in seguito alla morte della moglie (Naomi Watts). La ricerca del "miglior posto possibile per morire" lo conduce fino in Giappone, nella lugubre foresta sacra di Aokigahara: un luogo realmente esistente scelto ogni anno da centinaia di persone come teatro della loro dipartita. Un luogo impervio, straniante, infido: ci si va per suicidarsi ma non tutti hanno la forza per riuscirci, e chi non ce la fa finisce spesso intrappolato, incapace di ritrovare l'uscita. E' quello che è successo a Takumi (Ken Watanabe), un giapponese che sembra aver perso la strada e che s'imbatte in Arthur, il quale si rifiuta  di abbandonarlo al suo destino: camminando insieme, i due riscopriranno l'un l'altro il senso della vita...

La struttura del film è molto semplice, composta di due storie (presente e passato) che si intersecano tra loro attraverso frequenti flashback: parallelamente alla vicenda dei due uomini in mezzo alla foresta vediamo alternarsi frammenti del passato di Arthur e del suo rapporto con la moglie, prima idilliaco e poi tormentato, fatto di litigi, alcool e malattia. Di Takumi invece sappiamo ben poco, tranne del peso enorme che si porta sulle spalle, fatto di rimorso e vergogna, simbolo (come si vedrà nel finale) della pavidità dell'uomo e dell'incapacità di esternare i propri sentimenti.

Peccato davvero, però, che le due parti siano così clamorosamente disomogenee: se quella contemporanea (cioè la foresta) è credibile e anche emozionante, del tutto sbagliata e fuori luogo risulta la rappresentazione della storia d'amore ormai finita del protagonista. Matthew McCounaughey ce la mette tutta per mostrarsi convincente, dimostrando di credere davvero nel personaggio che interpreta (e non a caso è stato quello che più si è risentito per la pessima accoglienza a Cannes), ma questa parte di sceneggiatura scivola ben presto nel ridicolo involontario, incartandosi in uno schematismo di maniera che non risparmia melensaggini e situazioni paradossali, spesso al limite dell'assurdo (vedi la sequenza - che non vi racconto - della morte delle moglie), per non parlare della sconcertante banalità dei dialoghi, soprattutto nelle scene dei litigi familiari, totalmente artefatte e ben poco credibili causa di un'eccessiva e fastidiosa teatralità di fondo.

Arrancando così verso un finale fin troppo misticheggiante (sarebbe stato meglio, almeno per me, raccontare una storia più ancorata al realismo e alla rappresentazione del dolore), il film riesce comunque a toccare le corde sensibili del pubblico, imponendogli una riflessione sul senso della vita e della morte, oltre che sull'ineluttabilità di certe scelte che possono segnare il destino di ciascuno di noi. Lo ripeto, La Foresta dei Sogni (titolo italiano ancora una volta banale e fuorviante) non può oggettivamente dirsi un film riuscito, ma resta il fatto che pellicole come questa, capaci di farti pensare e apprezzare l'indubbia onestà degli intenti, siano degne di visione ben più di mille altre tecnicamente perfette ma emotivamente aride e prive di coinvolgimento. Io, almeno, la penso così.

11 commenti:

  1. La penso esattamente come te, Sauro. Adoro i film che fanno pensare, che ti rapiscono il cuore e l'anima, che ti sbattono di fronte il dolore nella maniera giusta perchè, è bene ricordarselo, la morte fa parte della vita. Non ho fatto caso ai dialoghi o alla sceneggiatura vedendo questo film perchè la storia mi ha coinvolto fin dalle prime immagini, e mi ci sono immedesimata fino alla fine. Soffrendo solo nell'immaginare ciò che poteva provare il protagonista.
    Per questo, checchè ne dica la critica, trovo che sia un film più che riuscito.

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    1. Che bello leggere un commento così appassionato e "sentito"... che vale mille recensioni! Io non l'ho trovato così "riuscito" il film, ma ne riconosco l'onestà e il merito di scavare a fondo nei rapporti interpersonali. Poi ognuno sente i film a suo modo, quindi massimo rispetto per te :)

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  2. Un Van Sant più "commerciale" e meno "filosofo" del solito, prevedibile e un po' banale ma, concordo con te, non così terribile come lo hanno dipinto. Un film abbastanza superficiale, per me, ma guardabile. Si è visto di peggio.

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    1. Intendi "superficiale" per il modo in cui è svolto o per l'argomento in sè? Nel secondo caso non sono molto d'accordo, per me è un film molto profondo. E non l'hoi trovato nemmeno così "commerciale", non so quanto poi incasserà al botteghino (in America ancora non è nemmeno uscito, hanno tutti paura che sia un flop clamoroso...)

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    2. Ovviamente non è l'argomento superficiale, ma il modo in cui è stato trattato.

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  3. Peccato. Penso comunque che, in barba alle stroncature universali e all'innegabilità che non tutto funzioni, me lo vedrò lo stesso.

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    1. Giusto. Bisogna sempre farsi un'idea propria, aldilà di ciò che scrive la critica "ufficiale". Quindi aspetto con curiosità il tuo commento!

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  4. Di Van Sant di solito vedo tutto, anche se mi intristisce il cuore come pochi. Riconosco una "poesia" del dolore nelle sue opere che, come dici tu, invita alla riflessione e lascia una traccia a prescindere.
    Ho letto stroncature totali su questo suo ultimo film (finora il tuo punto di vista è il più clemente), ma cercherò di non farmi influenzare.

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    1. Brava. Molte stroncature, a mio avviso, sono preconcette e ingiustificate, fermo restando che il film ha difetti evidenti e innegabile. Ma la visione personale è sempre consigliata, e aspetto volentieri la tua opinione! :)

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  5. Niente. Qui da me non sono riuscito a vederlo, getto la spugna. Però la penso assolutamente come te: farsi sempre una propria opinione, purchè sincera e motivata. Anche a costo di andare contro tutti!
    Mauro

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    1. Mi dispiace, Mauro. Confido che riuscirai a recuperarlo perchè mi piacerebbe conoscere la tua opinione... non disperare!

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