(The Revenant)
di Alejandro Gonzalez Inarritu (Usa, 2015)
con Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Domnhall Gleeson, Will Poulter, Lukas Haas, Paul Anderson
durata: 156 minuti
★★☆☆☆
Un grande film o un film grande? A volte basta poco per stravolgere un giudizio... il giudizio del pubblico (e di buona parte della critica) su Revenant è stato quasi unanime: un grande film, pluricandidato agli Oscar, con un grande protagonista, un grande direttore d'orchestra, il conseguente grande successo al botteghino. E scusate se è poco, verrebbe da dire. Eppure, dopo una faticosissima visione pomeridiana in una sala poco affollata e sonnecchiante, al sottoscritto pare più il caso di parlare di un film grande, forse troppo grande per ambizioni, aspettative e messinscena. Come grande è la delusione che ti prende dopo aver assistito a un film bulimico e smisurato, che sorprende ma non convince...
Dopo l'infinito piano sequenza di Birdman, film autoriale e colto, formalmente impeccabile, concepito per un pubblico dai palati fini, Alejandro Gonzalez Inarritu spiazza tutti di nuovo, realizzando un prodotto diametralmente opposto e ribaltandone completamente i toni e l'impianto narrativo, passando dai luoghi angusti di un teatro classico contemporaneo alle immense e innevate praterie del North Dakota di inizio '800 per girare un western atipico, fuori dagli schemi, lentissimo e contemplativo, impreziosito dalla straordinaria fotografia del "solito" Emmanuel Lubezki. Ma anche, consentitemi, un film piuttosto banale nella struttura, perfino un po' ingenuo, molto più di forma che di sostanza, poco sostenuto da una sceneggiatura schematica e tagliata con l'accetta, che in pratica divide la storia in due parti ben distinte e scollegate tra loro (il survivor-movie iniziale che poi, verso la fine, diventa un prevedibile revenge-movie, con tutti i clichè del caso), mai sorrette dalla giusta tensione emotiva per appassionare davvero chi guarda.
A creare disaffezione è soprattutto il ritmo bassissimo della pellicola, dovuto alle tante scene di evidente ispirazione malickiana, che però non sono quasi mai sorrette dalla potenza evocativa di cui avrebbero bisogno per essere davvero funzionali al progetto: a Revenant manca del tutto l'afflato poetico-ancestrale tipico delle opere di Malick, le continue inquadrature paesaggistiche esaltano, come detto, il talento di Lubezki ma finiscono con lo spossare lo spettatore, anche perchè non portano assolutamente a nulla: sono immagini statiche, fini a se stesse, palesemente finte, il colmo per un film che fin dal trailer ostenta con orgoglio il presunto realismo di ciò che racconta. Salvo poi contraddirsi esibendo una confezione del tutto artefatta, che non riesce a nascondere il vuoto dei contenuti.
E, dispiace dirlo, delude parecchio anche il suo protagonista: come spesso accade, finirà che anche Leonardo DiCaprio vincerà il suo sospirato (e meritato!) Oscar con un'interpretazione assolutamente non all'altezza di quelle passate, in cui avrebbe dovuto vincere davvero: in Revenant si cimenta in una performance essenzialmente fisica, quasi sempre muta, tutta grugniti, sguardi torvi e stridore di denti. Il personaggio che interpreta sembra quasi l'emblema della sfiga: in due ore e mezza di film viene attaccato dagli indiani, sbranato da un orso, abbandonato in mezzo alla neve, sepolto vivo, costretto a dormire nel ventre in cavallo, braccato dai cacciatori di pelle rivali... tanto di cappello per le "fatiche" a cui ha accettato di sottoporsi (il film è stato girato in condizioni climatiche difficilissime), ma la sensazione è che chiunque altro attore al suo posto avrebbe potuto cimentarsi in un ruolo del genere, che certo non ne esalta il talento...
Non so cosa abbia spinto Inarritu a girare un film così "estremo", tutto tecnica e pochissimo cuore, lontano anni-luce dalle sue opere precedenti e con un'aridità di fondo che è davvero insolita per il regista messicano: certo noi occidentali preferiamo di gran lunga i suoi film emotivamente più toccanti (Babel, 21 grammi) oppure più strettamente cinefili come Birdman. Di Revenant, probabilmente, ci ricorderemo di DiCaprio che stringe il suo primo Oscar, o magari le sensazionali (ma esagerate) riprese lungo le rapide del fiume. Ma difficilmente, credo, entrerà nelle grazie dei cinefili .
Questa volta mi trovo molto poco d'accordo, un fatto che accade di rado: verissimo, il film è fin troppo lungo, le parti oniriche stonano, la tecnica prende il sopravvento sul resto.
RispondiEliminaEppure, per esempio, l'ho trovato molto più di pancia - come tentativo - del troppo compiaciuto Birdman, o del sopravvalutatissimo 21 grammi.
Ma è interessante anche essere su linee d'onda diverse.
E ti dirò: io il ritmo non l'ho patito per nulla, anzi!
Più che la lunghezza è proprio il "passo" del film che mi ha annientato... esageratamente contemplativo, lentissimo, faticoso, a mio avviso senza motivo. "Birdman" è indubbiamente compiaciuto, o meglio è un film che "si fa piacere", però è una delizia per gli occhi e per il cervello. Si fa davvero fatica a riconoscere lo stesso autore!
EliminaStavolta nemmeno io condivido, Sauro. L'ho trovato un film genuinamente "epico", lento, è vero, ma le cui pause suscitano riflessioni e rispecchiano bene l'inquietudine e lo stato d'animo del protagonista. E DiCaprio è bravo, soprattutto nel mostrarsi "lurido" per tutto il film!
RispondiEliminaUn abbraccio.
Mauro
Sì, ma... insisto: il fatto di mostrarsi "lurido" e sottoporsi a scene "estreme" significa una grande interpretazione? Possiamo fare a DiCaprio i complimenti per il coraggio per aver accettato una parte dove si imbruttisce a dovere, o per aver sopportato stoicamente le riprese in un clima difficile e avverso, ma dove si esprime in questo film il suo talento? Poi, per carità, se gli danno l'Oscar io sono contento perchè lo avrebbe meritato almeno altre 2-3 volte in passato, ma certo non per quello che fa qui...
EliminaIo l'Inarritu americano, purtroppo, l'ho sempre trovato senza cuore. In quanto a Revenant: solo per il lato visivo, la sufficienza l'ha meritata dalle mie parti, ma è gelidissimo, risicato e convenzionale. Hardy mattatore, ma DiCaprio non mi ha convinto; tifo Redmayne, che ricordo aveva mezzo conquistato anche te, a Venezia. ;)
RispondiEliminaVero: il Redmayne di quest'anno in "The Danish Girl" è davvero notevole. Molto più dell'anno scorso con "La Teoria del Tutto" (altro oscar immeritato). Hardy è un attore immenso, purtroppo pochissimo considerato a Hollywood: guardalo in "Locke", è straordinario. Quest'anno temo (pur non essendo uno scandalo) che la statuetta l'abbia già in tasca Stallone...
EliminaConcordo pienamente... applausi a scena aperta! Spero invece per un oscar a Tom Hardy.
RispondiEliminaGrazie mille! Riguardo Hardy, vedi sopra... penso che non abbia molte speranze, ma se vince sarei più che contento!
EliminaDevo ancora farmi bene un'idea sul film... lo recensirò domani, ma sono indecisissimo tra un sei e un otto pieno. Boh!
RispondiEliminaAspetto la tua recensione: comunque, intendiamoci, non è un film inguardabile. E certamente la perfezione stilistica contribuisce ad alzare la media.
EliminaLo dico e lo confesso: mi sono addormentata!! :(((
RispondiEliminaPer questa volta sei perdonata! ;)
EliminaSpeiegami come fa uno mezzo morto, ricucito alla bella e meglio, con le ferite sporche di terra e senza disinfezione a gettarsi prima nelle rapide del fiume e poi in un burrone alto un centinaio di metri, e poi uscirne sano come un pesce. Se mi dai una spiegazione convincente ti dico che il film mi è piaciuto!
RispondiEliminaInfatti... non te lo spiego! ;) Ho preferito non calcare troppo la mano su questo aspetto perchè tutto questo, secondo me, rientra nel "gigantismo" del film di cui parlavo sopra (ergo, anche DiCaprio appare un gigante) però in effetti hai ragione. Soprattutto in un film che vorrebbe fare del "realismo" una delle sue qualità migliori...
EliminaIl minutaggio mi spaventa, spero di non annoiarmi..
RispondiEliminaIl minutaggio è importante, ma non fondamentale: alla fine ciò che conta sono il ritmo e il coinvolgimento. Solo che qui di ritmo ce n'è davvero pochino...
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