sabato 30 maggio 2015

SUI PREMI DI CANNES, LE "VERGINELLE" IPOCRITE E LO STATO DI SALUTE (VERO) DEL NOSTRO CINEMA...

Jacques Audiard e il cast di "Deephan", Palma d'Oro 2015 
Chi mi conosce bene sa quanto il sottoscritto sia, caratterialmente, eticamente e politicamente, il più lontano possibile dal nazionalismo esasperato e dal patriottismo di facciata, tutt'altro che orgoglioso di vivere in un Paese dove tutti cantano l'inno nazionale e dove abbiamo l'evasione fiscale più alta del pianeta... un Paese straordinariamente bello e straordinariamente autolesionista, incapace di promuovere la sua Grande Bellezza (ogni riferimento a certi "sorrentinismi" è puramente voluto) e che, anzi, fa di tutto per depauperarla.

Questo per mettere in chiaro che, lo dico a scanso di equivoci, non m'importa nulla e non grido pateticamente al complotto se i nostri "tre moschettieri" non hanno vinto una mazza all'ultimo Festival di Cannes: non ho visto gli altri film, non so se fossero meritevoli, non sono in grado di dare giudizi. Però, concedetemelo, il palmarès abbastanza "singolare" della Croisette si presta a più considerazioni, che a mente lucida spero possano aprire un dibattito e non innescare polemiche inutili...


Vincent Lindon
Veniamo al punto: a Cannes, lo sapete, hanno trionfato i francesi: tre film in concorso, tutti premiati. Palma d'Oro compresa, andata a Jacques Audiard con Deephan, mentre Vincent Lindon (per La loi du marché) ed Emmanuele Bercot (per Mon Roi) hanno strappato i premi per le migliori interpretazioni. Un risultato direi clamoroso e oggettivamente esagerato, che non può non lasciare interdetti: nessuno si sogna di mettere in discussione la vitalità del cinema francese e lo spessore delle sue opere e dei suoi interpreti (Audiard è un signor regista, e sulle qualità attoriali di Lindon c'è ben poco da discutere), ma è innegabile che questi premi hanno prima di tutto una forte valenza politica (e sarebbe davvero da 'verginelle' fare finta di non accorgersene...).

Insomma: la Francia scommette ed investe tantissimo sulla cultura in generale e sul cinema in particolare, ed è ovvio che quando gioca in casa pretende che questi sforzi vengano ripagati. Ripeto, inutile fare i buonisti e auto-convincersi ipocritamente che le giurie dei festival siano libere e indipendenti (è statisticamente provato che più le giurie sono 'alte e nobili', più assegnano i premi a casaccio...): la Francia è alla seconda Palma d'Oro in tre anni (nonchè le terza negli ultimi dieci, che diventano quattro con Amour di Michael Haneke, film battente bandiera austriaca ma francese di lingua e portafoglio). Sempre per gli amanti delle statistiche, risulta evidente che a un tale, massiccio predominio "casalingo" non corrisponda un altrettanto brillante "rendimento esterno", calcisticamente parlando: per trovare una vittoria francese alla Mostra di Venezia bisogna risalire addirittura al 1993, a Berlino al 2001, mentre l'ultimo Oscar (a parte il già citato Amour) è del 1994...

Ma siccome il calcio è ben altra cosa rispetto al cinema, vale la pena abbandonare la polemica e i toni da stadio per riflettere su quale sia, effettivamente, il reale stato di salute del cinema italiano.

"Mia madre", di Nanni Moretti
Beh, a giudicare dalla quantità e dalla qualità degli autori, direi più che buono. Abbiamo tanti ottimi e variegati registi, di età e generi diversi: dai "grandi vecchi" come Ermanno Olmi, Bernardo Bertolucci, Ettore Scola, Marco Bellocchio, alla "generazione di mezzo" (non solo la "triade" Moretti-Sorrentino-Garrone ma anche Mario Martone, Gianni Amelio, Giuseppe Tornatore...) fino ai "cineasti del presente" come Luca Guadagnino, Saverio Costanzo, Emanuele Crialese, Alice Rohrwacher... non so davvero quanti paesi al mondo (America a parte, ma questo è un altro discorso) possano vantare un parterre così ampio.

Il problema è un altro: come asseriva lo stesso Nanni Moretti a Cannes, la sensazione è che questa 'abbondanza' di talento non abbia però generato un 'movimento' cinematografico, ma che il nostro cinema si affidi ancora oggi all'estro dei singoli, alla passione, alla caparbietà, alla nostra mai sopìta arte di arrangiarsi, e che dietro a tutto questo non ci sia affatto l'ombra di un progetto. In Italia non c'è la minima traccia di programmazione, non esistono incentivi per i giovani che vogliono intraprendere la carriera artistica, così come per tutte le altre carriere: viviamo in un Paese dove TUTTI i governi recenti, di qualsiasi colore, hanno drasticamente ridotto gli investimenti sulla cultura, e dove chi riesce (ancora) a fare cinema è quasi un miracolato. Non certo come in Francia, dove i soldi messi sul piatto dallo stato sono di gran lunga superiori e, aldilà delle vittorie cannensi più o meno politche, i risultati si vedono eccome: a parità (quasi) di popolazione, i "cugini" d'oltralpe staccano il quadruplo di biglietti rispetto a noi che, se va bene, facciamo pari solo quando esce un film di Zalone.
Ma uno Zalone non fa primavera.

"Youth", di Paolo Sorrentino
Tutto questo si riflette, giocoforza, in un cinema provincialista e poco aperto al mondo, che fatica ad oltrepassare la dogana di Chiasso. Il che non è sinonimo, sia chiaro, di scarsa qualità, ma di difficile esportazione: oggi Paolo Sorrentino, piaccia o no, è l'unico regista italiano in grado di realizzare film "universali" e fruibili anche all'estero. Garrone ci riesce in parte, mentre lo stesso Moretti (eccetto che in Francia, dove stravedono per lui) non ha mai sfondato i confini nazionali. E dove un Luca Guadagnino sfiora l'oscar con un film mal distribuito in Italia e fattosi notare al Sundance Festival... un provincialismo si riflette anche sul fronte attoriale: il nostro cinema sforna molti bravi registi ma pochi, pochissimi attori. Nei film italiani si vedono sempre le stesse facce, che vengono spremute come limoni finchè il pubblico non si stufa. In compenso abbiamo decine e decine di attori scarsi e inespressivi, che fanno solo commedie e che non lasciano tracce della loro presenza. Prendete Youth di Sorrentino: che film sarebbe stato senza Michael Caine e Harvey Keitel? Ma noi ce l'abbiamo gente come Michael Caine e Harvey Keitel? Abbiamo scuole di recitazione serie, dove si forgiano interpreti bravi? Quasi tutti i nostri attori provengono dal teatro (nella migliore delle ipotesi) o dalla televisione (la peggiore), ma ben pochi dal cinema. E non è affatto un bene,


Infine, un discorso a parte lo merita la propensione tutta italiana all'autolesionismo, quel gusto insano di stroncare e criticare a prescindere il nostro cinema, salvo poi ricredersi quando si vincono i premi ai festival. Non voglio dilungarmi troppo sulla severità, spesso preconcetta, della critica italiana. Non mi va di passare per piagnone e nazionalista (e si ritorna alla mia premessa iniziale), ma è francamente incomprensibile l'accanimento che la stragrande maggioranza dei critici nostrani riservano alla produzione locale: provate a pensare, per un attimo, cosa succederebbe se alla Mostra di Venezia venissero premiati tre film italiani... verrebbe giù il finimondo! I francesi invece lo fanno, e nemmeno si scompongono. E se lo fanno loro questa si chiama difesa della cinematografia nazionale, mentre se succede da noi si viene tacciati di narcisismo e tifo da stadio.
Basta mettersi d'accordo. Per il bene, soprattutto, del nostro cinema.
  


6 commenti:

  1. Sugli attori italiani la penso esattamente come te: a parte i soliti noti il dilettantismo è davvero imperante. Non sono d'accordo però sul tuo giudizio su Cannes. E se i tre film francesi fossero effettivamente bellissimi? Se non li hai visti come puoi dire che non sono meritati? Fermo restando, ma mi sembra anche normale, che Cannes ha un occhio di riguardo per la Francia (nazione che comunque ci surclassa per produzione, qualità e talento cinematografico).

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    1. I tre film francesi potranno anche essere bellissimi (non lo escludo) ma ciò non c'entra nulla con il mio discorso: non è praticamente mai esistito un tale profluvio di premi a una sola nazione da che la storia ricordi...è evidente che si tratta di un palmarès politico, sarebbe ipocrita sostenere il contrario. Ripeto: che sarebbe successo se a Venezia avessero premiato tre film italiani, seppur meritevoli?

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  2. Ho frequentato anch'io qualche volta la mostra di Venezia e mi ritrovo in quello che scrivi, parlo ovviamente della freddissima accoglienza ai film italiani che, chissà perchè, devono sempre dimostrare qualcosa in più degli altri. I francesi invece non si pongono problemi e fanno bene, dovrebbe essere compito di ogni governo e ogni italiano difendere il nostro cinema.

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    1. Esatto, Helena: e, lo ripeto, non si tratta di sciovinismo nè di pilotare le giurie. E' giusto essere obiettivi ma non prevenuti, e questa (purtroppo) è una costante della nostra critica...

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  3. I Francesi mica si vergognano! Certo non abbiamo visto i film ma in effetti anche a me è parsa un'esagerazione tutti quei premi... però va detto che anche a Venezia e gli altri festival spesso vengono premiati film totalmente immeritevoli. Almeno secondo il mio modestissimo parere :)
    Un abbraccio
    Mauro

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    1. Mauro, hai pefettamente ragione: i premi "assurdi" e immeritati ci sono in ogni festival (Venezia in primis), ma spesso si tratta del frutto di compromessi di una giuria in disaccordo. Mai però, che io ricordi, a Venezia si è trattato così in guanti bianchi il cinema italiano: altrimenti sarebbe venuto giù il mondo...

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