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di Gianfranco Rosi (Italia, 2013)
durata: 93 min.
★★★★☆
Il raccordo anulare di Roma è la più estesa tangenziale italiana: 70 km di percorrenza per 42 svincoli "che circondano la Capitale come un anello di Saturno". Un mondo a parte, un microcosmo variegato e assolutamente sconosciuto ai più, in particolar modo ai suoi abituali frequentatori: vale a dire quei circa 60 milioni di automobilisti che lo percorrono ogni anno e che lasciano su quel nastro di asfalto una considerevole fetta del loro tempo... una cifra enorme, un vero fenomeno di massa capace di stimolare l'attenzione degli studiosi di urbanistica: uno di questi, il professor Nicolò Bassetti, lo ha perfino percorso a piedi per intero più di una volta allo scopo di analizzare il campionario umano che ci vive intorno, per poi dettagliare tutto nel suo libro Terra di raccordo.
Ma Bassetti non si è fermato qui: stimolato dai tanti incontri e dalle mille esperienze vissute durante la scrittura del libro, ha deciso che c'era del materiale così interessante da poterne ricavare anche un soggetto cinematografico. E così entra in scena un signore chiamato Gianfranco Rosi, regista pressochè sconosciuto nel nostro paese ma apprezzato documentarista in tutto il mondo. Perchè non lo avete mai sentito nominare? Semplice, perchè in Italia i documentari (a parte quelli politici di Michael Moore e pochi altri) non vengono mai distribuiti, quasi fossero figli di un dio minore. Eppure proprio uno di questi film, Below Sea Level, consentì a Rosi di vincere nel 2008 il premio Orizzonti alla Mostra di Venezia. Below Sea Level è un film straordinario, uno dei pochi capolavori di questa prima decade di millennio: racconta la storia di una comunità di homeless californiani, vittime della crisi economica, costretti a rifugiarsi in un'area depressa del deserto californiano (perlappunto, sotto il livello del mare). Il film mostra al mondo come quella che parrebbe a tutti gli effetti una costrizione può trasformarsi, in barba alle regole capitalistiche, in un'autentica scelta di vita.
Ma torniamo a Sacro GRA. Film su commissione che, va detto subito, non possiede lo spessore morale e la qualità filmica del predecessore, ma resta comunque un interessantissimo 'esperimento' cinefilo, assolutamente godibile e per certi versi leggero e scanzonato, capace però di far riflettere lo spettatore su un concetto molto importante: l'importanza delle periferie e le storie di ordinaria umanità che si celano dentro a questo mondo 'invisibile'. Il tema del film è semplice: dare voce e spazio a chi non ne ha e non ha mai avuto, a tutte quelle persone che vivono ai margini della Grande Metropoli (e quindi della società) dove magari girano pochi soldi (e molti problemi), ma dove allo stesso modo si può respirare un sentimento di solidarietà e comunione favorito dal bisogno. Anche un altro grande regista italiano, il maestro Ermanno Olmi, in passato si era espresso sulla stessa falsariga: "saranno le periferie a salvare il mondo, il buon senso trova ancora un suo argine nelle classi esposte alle difficoltà della sopravvivenza".
Assistiamo così alle vicende di un gruppo di persone a loro modo speciali, talvolta eccentriche, sicuramente con molte cose da raccontare: è il caso di Cesare, l'ultimo pescatore di anguille del Tevere, che mastica amaro leggendo articoli 'scientifici' sul suo lavoro scritti da chi non ne capisce evidentemente nulla. Oppure di Paolo, nobile decaduto, colto e in disgrazia, che 'ammira' il Cupolone dall'unica finestra del suo loculo di 25 metri quadrati che divide con la figlia. O ancora di Francesco, appassionato entomologo che cerca di salvare le palme cittadine dal terribile punteruolo rosso (l'insetto-killer che campeggia anche sulla locandina del film). Per non parlare poi di un 'principe' (autentico) che affitta la sua casa-museo per le troupe di fotoromanzi, l'ex-comparsa del cinema che si ricicla proprio in questo campo, il barelliere che cerca rifugio nelle chat-line dopo una giornata di lavoro duro...
Sacro GRA è un film che racconta la gente comune, un viaggio curioso e stimolante in una Roma sconosciuta, lontana, impalpabile ma genuina. E qui, come ha fatto anche la stragrande maggioranza della critica nazionale, viene quasi naturale il confronto con La Grande Bellezza di Sorrentino. Scontato il messaggio di fondo: ai nostri tempi l'essenza vera di questa città possiamo trovarla solo in periferia, ben lontano dai palazzi nobili del centro storico, templi della cafonaggine e della decadenza capitolina. Il film di Rosi è sincero e divertente, per certi versi anche poetico, in ogni caso un esperimento a cui vale la pena dare fiducia. Anche perchè il discorso può essere esteso e allargato sociologicamente: le storie raccontate da Sacro GRA potrebbero svolgersi in qualsiasi altra città ed avere la stessa dignità e la stessa forza. Il GRA è l'anello di congiunzione di queste storie, il collante che le rende 'umane' e riconoscibili.
E fa davvero piacere constatare che il pubblico, anche sulla spinta del clamoroso (ma non scandaloso) Leone d'oro vinto a Venezia (a 15 anni di distanza dall'ultima vittoria italiana) almeno stando alle prime rilevazioni ha risposto benissimo affollando le poche sale in cui è stato distribuito il film, e che non a caso sono raddoppiate in questo weekend: auguriamoci che questo sia un incentivo per ridare dignità a un genere cinematografico (il documentario) da noi sempre ingiustamente trascurato, e soprattutto per sperare di vedere, finalmente, i precedenti film di Rosi, tutti assolutamente meritevoli di visione.
Bella recensione appassionata caro Sauro. Scusa se non scrivo di più, ma come sai sto in convalescenza. Un caro saluto
RispondiEliminaMa di che ti scusi, Silvia?? Scherzi? Ti ringrazio di essere 'passata' e ti faccio ancora tanti auguri di pronta guarigione: spero che torni al più presto alla tua vita normale e alle tue passioni... ti aspettiamo tutti!
RispondiEliminaGrazie Sauro, inizio a stare meglio ;)
EliminaRiconosco al GRA la facoltà di anello, ma non di congiunzione con le amatoriali storielle di Rosi, finte ed a volte pure fastidiose (la riesumazione delle salme). I disagi dei palazzoni le creano i Corviale e gli Scampia. Non tre corsie d'asfalto. Diciamo che gli è piaciuto il calembour del Sacro Gra. Un po' pochino per fare cinema. Però coi fotoromanzi ci sa fare.. al posto suo insisterei... ;)
RispondiEliminaRosi fa documentari parlando della gente, delle persone. Possono piacere o meno ma questo è il suo cinema. Il GRA è un emblema, rappresenta il confine di una città splendida e decadente che respinge ai margini i suoi abitanti più veri. Lo so benissimo che queste storie potrebbero svolgersi in qualunque altra città, ma è evidente che il GRA ha un significato prettamente simbolico: sono storie di ordinaria (dis)umanità delimitate da un nastro di asfalto che le contiene. Il GRA vuol dire riscoprire le periferie, dare voce a quelle persone che solitamente non ce l'hanno, riconoscerne la loro dignità.
EliminaSono davvero curiosa di vederlo...
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