di Paolo Sorrentino (Italia, 2013)
con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Galatea Ranzi, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Massimo De Francovich, Isabella Ferrari, Roberto Herlitzka
VOTO: *****/5
Che cosa hanno in comune Baz Luhrmann e Paolo Sorrentino? A prima vista apparentemente nulla, eppure ci piace pensare che sia stato un meraviglioso scherzo del destino il fatto che i loro film siano usciti in sala a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro, quasi come la continuazione ideale di un discorso. Sì, perchè Il Grande Gatsby e La Grande Bellezza sono in realtà due film molto simili: entrambi parlano di decadenza e di solitudine, di ipocrisia e apparenza, della lenta e costante disgregazione della società e dei suoi valori vista dagli occhi di chi in quel sistema ci sta dentro fino al collo, come protagonista assoluto.
Con una differenza però: mentre Jay Gatsby è un personaggio a tutto tondo, idealista e romantico, votato all'autodistruzione pur di raggiungere l'unico scopo della sua vita (un amore cieco per una donna appartenente a un mondo che è infinitamente più piccolo di lui), il protagonista del film di Sorrentino ne è l'esatta antitesi, forse la sua traslazione in un'epoca, se possibile, ancora più buia e cinica di quella descritta da Fitzgerald: probabilmente se Jay Gatsby fosse riuscito a sopravvivere sarebbe diventato proprio come Jep Gambardella, personaggio brillante, affascinante, ma allo stesso tempo pietoso e sconfitto, un uomo capace di scrivere quarant'anni prima un unico romanzo di enorme successo, per poi dissipare il suo talento diventando giornalista di gossip e lasciandosi trascinare nella cupa mondanità dei salotti romani...
Ed ecco che il collegamento tra i due film diventa lampante: se la New York opulenta, rutilante e falsa degli anni '20 stava precipitando inconsapevolmente verso il baratro della Grande Depressione, la Roma di oggi non è che la conseguenza di quella crisi: il film di Sorrentino è un incubo ad occhi aperti, che contrappone in ogni momento la mirabilante ed 'esagerata' bellezza di una città davvero eterna con lo spaventoso deficit culturale e morale di chi oggi ci vive e la vive. Non a caso, nel film si sente dire che 'oggi i veri abitanti di Roma sono i turisti', gli unici che guardano ancora questa città con gli occhi estasiati e il rispetto che le competono.
Non ci vuole molto a capire che Jep Gambardella non è altro che l'alter-ego del regista dentro questa specie di 'viaggio allucinante' nella movida della capitale, alla scoperta di individui che sono più 'mostri' che persone, gente senz'anima che popola un universo molto simile a un girone dantesco, dove più ti perdi e più vai a fondo nel 'vortice della mondanità' e dove la cafonaggine e l'ignoranza dei nuovi 'vitelloni' si esplicita nelle feste sfarzose e volgari sopra gli attici delle lussuose dimore con vista sul Colosseo, dove si canta e si balla facendo il trenino sulle note di Raffaella Carrà, assistendo a 'sparuti e incostanti sprazzi di bellezza, e poi allo squallore disgraziato dell'uomo miserabile'. Feste che non sono poi tanto diverse da quelle che Jay Gatsby regalava al jet-set della sua epoca, all'interno della sua sontuosa villa-prigione...
E' in questa cornice che Paolo Sorrentino affonda il coltello, costruendo un film affascinante e tetro, visivamente superlativo, ricreando negli occhi dello spettatore lo stesso stato di straniamento e perdizione di tutti i suoi protagonisti: il direttore della fotografia Luca Bigazzi compie il suo capolavoro immortalando in ogni angolo una Roma stupefacente e ossessivamente bella, all'interno della quale si muovono tante anime dannate, tutte più o meno inconsapevoli della propria perdizione, e che non a caso non ottengono risposta quando nel finale nemmeno una Santa stile Madre Teresa di Calcutta sarà in grado fornire loro risposte sull'aldilà: il futuro non esiste, come non esiste alcuna possibilità di salvezza per un'umanità ormai troppo egoista, volgare e cinica.
Non sappiamo se La Grande Bellezza sia un capolavoro, questo solo il tempo ce lo dirà. Ma possiamo dirvi con certezza che è un film stupefacente, affabulatorio, indubbiamente ruffiano (Sorrentino è un regista molto narciso, uno che 'se la tira' parecchio) eppure assolutamente da vedere, proprio perchè di una bellezza quasi 'morbosa' capace di rapirti nella visione e farti partecipe dell'incubo in cui stai per cadere... buona parte del merito bisogna darla agli attori (e ovviamente a chi li ha diretti), tutti splendidamente in parte: se per Toni Servillo è ormai inutile cercare altri commenti che esulino dalla banalità riguardo la sua bravura, è doveroso spendere parole di elogio per gli altri comprimari. Due su tutti: una bravissima Sabrina Ferilli e un immenso Carlo Verdone, figure straordinarie e drammatiche, indispensabili per la comprensione del film. E' infatti attraverso i loro personaggi che riusciamo a renderci pienamente conto della frustrazione del nostro tempo, due ruoli difficili di due persone normali che cercano, invano, di ritagliarsi un posto al sole in un mondo che le respinge senza pietà. E, guardacaso, trattasi degli unici due attori romani di una pellicola che dipinge una Roma stupenda e spietata, elegante e lugubre, dalla quale, seppure col cuore in gola, si è costretti a fuggire.
Mi hai messo una voglia pazzesca di vederlo.
RispondiEliminaSpero di poter rimediare presto. Ho gran bisogno di bellezza.
Tutti ne abbiamo un gran bisogno... :-)
EliminaBuona visione, Ford!
Forse un po' troppo lungo, ma un film indubbiamente da vedere. Oltre a quello che hai scritto aggiungerei che è un dichiarato omaggio a Fellini e a La dolce vita, ovviamente attualizzato ai tempi nostri. Che non sono gli stessi, purtroppo... Ottima recensione comunque. Complimenti.
RispondiEliminaMauro.
Sì, un po' tutti lo hanno paragonato a 'La dolce vita'. In effetti temi e situazioni sono quelle, ma in ogni caso resta un film di Sorrentino: il Sorrentino migliore, quello che riesce a toglierti il respiro solo con un'inquadratura o un movimento di macchina. Questo film è inequivocabilmente 'suo'. Sulla durata, ti dico solo che secondo me il fatto di aver 'dilatato' il finale è una scelta prettamente registica: serve a rendere ancora più palese lo straniamento del protagonista...
EliminaGià avevo una gran voglia di vederlo prima, ora dopo la tua bella recensione la voglia è aumentata.
RispondiEliminaaccidenti quante lodi! che poi dette da uno di solito misurato come te acquistano ancora più valore: in Francia ho letto che l'hanno abbastanza triturato, chissà perchè..solito protezionismo?
RispondiEliminaDirei proprio di sì: solito provincialismo e protezionismo dei nostri cugini d'Oltralpe che preferirebbero andare in esilio piuttosto che far vincere un film italiano... quando ho letto dai resoconti che le uniche critiche negative arrivavano dai francesi (i 'Cahiers du Cinema' addirittura si chiedevano a quale titolo Sorrentino fosse in concorso) ho subodorato che questo film poteva essere davvero bellissimo!
EliminaAppena visto. Sicuramente Sorrentino sa giocare con i suoi mezzi ed è consapevole della sua bravura ma come dargli toro? Un innegabile piacere per gli occhi. E la scena con Fanny Ardant, nella sua semplicità e poesia, mi ha commossa.
RispondiEliminaBella recensione Kelvin. Sprecata per questo film! Leggi la mia, mi preparo per le botte ;)
RispondiEliminaLetta. Senza spargimento di sangue, ti rispondo sul tuo blog... :-)
EliminaCaro Sauro, che dire di questo film...non volevo abbandonare la sala. Sarei rimasta per un'altra visione, almeno per comprendere come avrei voluto alcune cose. Ci sono passaggi che meritano, credo io, una seconda visione. Sorrentino è un maestro nel far abissare lo spettatore. Mostrargli il lato più misero, più sgangherato di una Roma marmorea, bella come non mai eppure piena di malesseri esistenziali. Al di là della straordinaria e onnipresente eco felliniana, io trovo questo uno dei più alti vertici sfiorati da Sorrentino. Quando la macchina da presa dilata il tempo e lo spazio e ti avvolge completamente lasciandoti inerme, beh, cosa vuoi di più? La sequenza che mi ha commosso, oltre al mare sul soffitto, è quella durante il matrimonio, il ballo con Stefania e Jep che fa una disillusa affermazione sul loro futuro...meraviglioso, drammatico, anzi tragico. E c'è chi sostiene che non lo sia affatto, bah...per carità non a tutti arriva la stessa ondata di emozioni dentro quella sala. Però io ringrazio Sorrentino e il cinema italiano per regalarci ancora tutto questo. Questa Grande bellezza...
RispondiEliminaSì, ritengo anch'io che una sola visione non sia sufficiente per comprendere appieno questo film. Per quanto non ami rivedere i film appena visti (si perde la spontaneità e l'emozione della visione) in questo caso direi che rivederlo è necessario. Sono tante, tantissime le scene e i personaggi chiave, ognuno dei quali meriterebbe una recensione a parte (la ragazzina isterica che 'dipinge' la tela col proprio corpo, il custode che tiene le chiavi dei più bei palazzi di Roma, il 'guru' del botox che organizza party per siringare le proprie clienti...). Hai ragione: è un film incredibilmente affabulatore, onirico, che dilata i tempi e ti costringe ad ammirare la Bellezza e lo Squallore lasciandoti completamente inerte. Io però ringrazierei solo Sorrentino, l'unico vero regista italiano di respiro internazionale (lo vado dicendo da tempo). Sinceramente non mi viene a mente nessun altro regista nostrano capace, in questo momento, di girare film come questo...
EliminaPiù che alla "Dolce Vita" io lo paragonerei a "I Mostri" di Dino Risi: la fauna assurda e ripugnante di disumanità che si vede nel film è indicativo della società attuale, purtroppo solo italiana. Solo noi italiani siamo regrediti a uno stato così pietoso dopo secoli di incomparabile bellezza e questo ci fa ancora più vergogna. La tua recensione è bella ma troppo "soft" nei confronti di questo paese che non si merita nulla.
RispondiEliminaVerissimo. Il riferimento a 'I mostri' è assolutamente calzante: ci sono tanti 'mostri' in questo film, a cominciare dal protagonista stesso. E la critica di Sorrentino a un paese bellissimo e decaduto è netta: non a caso, nella scena a mio avviso più drammatica e toccante del film, tocca a Verdone pronunciare l'amara frase "Roma mi ha deluso". Detta da lui, romano de Roma al 110%, possiamo immaginare l'amarezza con cui l'ha pronunciata. Non dev'essere stato facile. Per quanto mi riguarda, non so se la mia recensione si 'soft' nei confronti del nostro paese: io ho recensito solo un film, poi per parlare (male) dell'Italia ci sono altri spazi e modi piuttosto che farlo qui sopra...
EliminaSono romana e non mi sento affatto rappresentata da quello che ho visto nel film. Non si può generalizzare così, io amo la mia città e sono fiera di poter ammirare ogni giorno questa bellezza. Prendiamo il film per quello che è, ovvero un bell'esercizio di stile e un ottimo espediente registico. Ma per favore smettiamola di ricondurre tutto a un'idea di società (e romanità) fatta, ci tengo a sottolinearlo, da un regista napoletano e, per sua stessa ammissione, nient'affatto conoscitore della città. Troppe lodi in ogni caso per un film tanto pretenzioso quanto superficiale.
RispondiEliminaNon credo che Sorrentino volesse criminalizzare Roma ne' tantomeno i suoi abitanti, anzi: semmai il contrario. Roma è stata presa come simbolo di una societa' che è tutta italiana, decadente e cafona, incapace di rendersi conto della Bellezza che le sta intorno. Questo non vuol dire generalizzare, ci sono (per fortuna!) persone come te che giustamente si risentono, e ne hanno tutto il diritto. Però è innegabile che i personaggi del film esistono eccome, e Sorrentino non ha fatto altro che riportarli sul grandeschermo. Un film (forse) pretenzioso, ma certamente non superficiale...
Eliminahttp://diobenedicaquestospazio.blogspot.it/2013/05/la-grande-bellezza-di-paolo-sorrentino.html
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