mercoledì 12 settembre 2012

FILL THE VOID

(Lemale et ha'halal)
di Rama Burshtein (Israele, 2012)
con Hila Feldman, Razia Israeli, Yiftach Klein, Renana Raz
VOTO ****



Quando a un festival importante come Venezia viene presentata in concorso un'opera prima bella come Fill the Void viene quasi da gridare al miracolo, specie in un'edizione dove le 'grandi firme' (Malick, Anderson, Kitano, DePalma) non hanno certo brillato. Eppure, davvero, non c'è niente di miracoloso in questo piccolo film israeliano che ci descrive una storia di ordinaria ingiustizia all'interno della comunità ortodossa di Tel Aviv: Sharin, ragazza diciottenne, fidanzata e promessa sposa ad un suo coetaneo, viene per così dire 'spinta' dalla propria famiglia a lasciare il compagno per sposarsi con il marito vedovo della sorella, morta di parto poco tempo prima, al solo scopo di crescere il neonato.

Bene, direte. Dove sta la novità? Ci sono decine di film che hanno raccontato in tutte le salse, sia in chiave comica che drammatica, storie di matrimoni combinati più o meno infelici. E allora che cos'ha di bello di Fill the Void? Semplice, è una pellicola che evita intelligentemente di dilungarsi troppo sul melodramma, per descrivere invece molto bene le dinamiche quasi 'tribali' e gli usi e costumi vessatori e quasi 'primitivi' della comunità di Sharin, inimmaginabili agli occhi del mondo in relazione ad un paese tutto sommato occidentale e moderno come Israele.

Fill the Void (che, per inciso, ha come voce narrante un membro effettivo della comunità) descrive in maniera perfetta i riti solenni e arcaici della comunità, non prendendo posizione ma esaltando efficacemente il contrasto tra una realtà molto viva e politicamente ben schierata, eppure così tremendamente ignorante in ambito culturale. La scommessa (vinta) dell'esordiente Rama Burshtein è stata quella di osservare e riferire allo spettatore quanto visto, seguendo uno stile rigoroso ed equidistante e lasciandolo libero di giudicare senza condizionamenti.

Girato tutto in interni, come un intenso melodramma da camera, questo film d'esordio della Burshtein ha il merito di fotografare concretamente la dimensione sociale ed umana della giovane protagonista e di tutta la struttura familiare (sia la propria che quella della nazione i  generale). Lo fa con un taglio deciso ma mai eccessivo, che vale come monito nei confronti del mondo intero.
Il film (questo sì che è un mircolo!) è stato acquistato dalla nostra benemerita Lucky Red e probabilmente in autunno sarà distribuito in sala. E vi consiglio di andarci, possibilmente sgombri da pregiudizi anti-americani e con la voglia di accostarVi a un prodotto tutto sommato ben diretto e socialmente utilissimo. Non ve ne pentirete.

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