(Dark knight rises)
di Christopher Nolan (USA, 2012)
con Christian Bale, Tom Hardy, Anne Hathaway, Marion Cotillard, Michael Caine, Joseph Gordon-Levitt, Gary Oldman
VOTO: ***
Sono passati otto anni dalla morte di Harvey Dent e dalla 'liberazione' di Gotham City, ora città modello, i cui abitanti piangono ancora il suo valoroso procuratore morto (così credono) per mano di Batman. Il commissario Gordon, unico a conoscere la verità, tace per opportunismo e quieto vivere, mentre Bruce Wayne si è ritirato a vita privata nella sua villa-prigione, umiliato, incompreso e infelice.
Ha un bel dire Christopher Nolan che il suo terzo film su Batman non è un film politico: lo fa per stemperare le polemiche e per ovvie ragioni commerciali, ma è evidente che Dark knight rises è un film che non può non prescindere dalla politica: già l'antefatto che abbiamo appena raccontato ne è la prova, evidenziando come anche nel mondo del fantasy e dei supereroi gli intrighi e i compromessi del Potere sono parte fondante di una società corrotta e 'anestetizzata' da chi ne detiene il controllo.
Sarà per questo che il cattivo di turno, lo spietato Bane, è deciso (a modo suo) a spazzare via il marciume da Gotham, costituito proprio da quelle Istituzioni (cioè lo Stato) che si sono via via asservite ai Potenti di turno e che ora vacillano con codardia nei confronti di un uomo disperato, rabbioso, dal passato drammatico e con un'insaziabile sete di vendetta: Bane cerca la sua sanguinosa rivincita mettendo a ferro e fuoco il Municipio della città (instaurando un Tribunale-fantoccio dedito alla legge marziale), la Borsa (simbolo del capitalismo), la Polizia (i cui vertici sono ormai incapaci e compromessi), e ovviamente rivolgendo le attenzioni maggiori proprio a Batman, ormai rimasto l'unico vero rappresentante della Legge, e costretto per paradosso (lui che per l'opinione pubblica è un bandito) a gettarsi di nuovo nella mischia per salvare la sua gente.
La morale è fin troppo chiara, a dispetto della fama di Nolan come regista 'criptico' e sperimentale: in una società dove la Politica non è più protagonista e dove la decadenza fisica e morale della propria classe dirigente è ormai conclamata, può anche accadere che la popolazione, stanca, delusa e diffidente dei suoi rappresentanti istituzionali, 'avalli' passivamente il golpe di un 'uomo forte' che dietro proclami di giustizia e equità (Bane si presenta come un Robin Hood ferito nell'anima, che distrugge i palazzi del Potere e promette benessere ai ceti meno abbienti) instauri le basi di una dittatura sanguinaria e populista. Come non vedere in questa ricostruzione un chiaro monito alle nomenklature odierne, di destra o di sinistra che siano?
Il terzo episodio de Il cavaliere oscuro è comunque un film complesso e multiforme, dove Nolan cerca di tenere insieme i tanti aspetti che va a toccare: quello spettacolare, commerciale e, appunto, politico. Difficile dare un giudizio complessivo, proprio per la 'grandezza' (nel senso letterale del temine) di una pellicola a cui le quasi tre ore di durata sembrano appena sufficienti per mettere sul tavolo tutti i grandi temi di una trilogia alla quale si vuol dare una degna conclusione.
Cominciamo allora col dire le cose che funzionano: bellissima è la resa spettacolare del film, con scene d'azione mozzafiato e funzionali alla storia, che non si 'mangiano' il film stesso. Merito del regista è quello di non aver ceduto alle 'sirene' del 3D, costruendo una pellicola tecnicamente perfetta (fotografia, montaggio ed effetti speciali su tutto). Dal punto di vista più strettamente 'artistico', invece, non possiamo non rimarcare l'ottima direzione degli attori e la bravura degli interpreti stessi: eccezion fatta per la scialba Catwoman impersonata da Anne Hathaway (si dice che abbia soffiato il ruolo a Keira Knightley... per me è stato un grosso errore) il resto del cast è da 10 e lode: Tom Hardy, Michael Caine, Marion Cotillard (un po' sacrificata, purtroppo) e Joseph Gordon-Levitt sono tutti splendidamente in parte. Ma la menzione speciale è ovviamente per Christian Bale, assolutamente strepitoso nel dare vita a un Batman incredibilmente 'umano', ancora più che nel film precedente dove veniva (ingiustissimamaente!) messo in disparte dal 'Joker' di Heath Ledger (e dell'aura di mito e fascinazione creatasi in seguito alla tragica scomparsa dell'attore australiano).
Bale in questo film supera se stesso: il suo Batman è un eroe tragico, deluso dalla vita e rinnegato dalla propria gente. E' un uomo triste e solo, sopraffatto dall'ingratitudine e dalla depressione, che decide di sfidare il Nemico più per disperazione che per convinzione, quasi desiderando la morte, forse unico mezzo per tagliare definitivamente i ponti col passato... Non è certamente un caso che nel corso dei 164 minuti di pellicola il costume dell'uomo-pipistrello appaia si e no per una mezz'ora scarsa: a testimonianza che Batman è, prima di ogni altra cosa, il simbolo della Sconfitta dell' Uomo e della Società stessa, che lo costringe a mascherarsi per farsi accettare e ristabilire l'ordine. Un peso ingombrante da portare, quasi insopportabile.
Tuttavia, per quanto come abbiamo visto questo Dark knight rises ci abbia fornito ottimi motivi per apprezzarlo, per onestà intellettuale dobbiamo dire che il film non ci ha entusiasmato fino in fondo, per le stesse ragioni che, a suo tempo, ci fecero diffidare anche da Inception, il precedente film di Nolan: se andate a recuperare quella recensione (vedi qui), vi accorgerete che imputavamo al regista una certa 'freddezza' di fondo a scapito dell'emotività della storia stessa, come se la maniacale perfezione nei dettagli della sceneggiatura e nei dialoghi finissero per far passare in secondo piano l'aspetto 'umano' e sentimentale della vicenda.
Insomma, come (a nostro giudizio) Inception era un complicatissimo videogame, tecnicamente affascinante ma freddo come il ghiaccio, anche questo terzo Batman risente, anche se in minor misura, degli stessi difetti: a una sceneggiatura complessa, piena di personaggi e storie che si intersecano l'una con l'altra, non corrisponde un'altrettanto convincente resa emozionale: Nolan sembra attentissimo a far quadrare i pezzi del puzzle, ci sorprende con dirompenti scene d'azione e dialoghi indubbiamente non comuni per un blockbuster hollywoodiano, stimola la nostra mente a riflessioni politiche e sociologiche come quelle che abbiamo appena fatto, ma alla fine gli unici momenti in cui ci si emoziona davvero sono quelli in cui vediamo Bale/Wayne/Batman scendere a patti col proprio destino e la propria coscienza, proprio in nome di quella 'umanità' di cui abbiamo parlato.
Il film, infatti, esalta e colpisce al cuore solo nell'ultima mezz'ora, quando i nodi vengono al pettine e assistiamo alla resa dei conti definitiva. Troppo poco per un personaggio che, magari suo malgrado, non può esistere senza il calore di chi segue le sue gesta.
lunedì 27 agosto 2012
giovedì 23 agosto 2012
JODIE 50 - I FILM - Nell
Il suo compleanno è il 19 novembre, ma noi cominciamo a festeggiarla adesso... perchè? Perchè Jodie Foster, al traguardo del mezzo secolo, è l'attrice 'moderna' che a nostro modestissimo parere ha meglio omaggiato il Cinema in tutti i suoi aspetti: l'abbiamo vista crescere (letteralmente) dietro la macchina da presa, l'abbiamo ammirata in ruoli sempre diversi a seconda delle stagioni della sua (e nostra) vita, l'abbiamo seguita in ogni sua trasformazione artistica. Sì, Jodie ci piace parecchio, non l'abbiamo mai nascosto... non sarà una 'moral guidance' (come ha fatto con Clint Eastwood il settimanale FilmTv), ma per noi rappresenta la bravura, la professionalità, l'incarnazione per un lavoro che fin da subito le è entrato dentro. Jodie è una perfetta 'macchina per recitare'. E noi la ricordiamo con i suoi film, che ci hanno accompagnato per mano. Crescendo insieme a lei.
NELL (id., USA 1994) di Michael Apted
Nell è la storia di una ragazza 'selvaggia', abbandonata, vissuta da sola in mezzo ai boschi e che parla un linguaggio sconosciuto agli uomini a causa di una malformazione alle corde vocali. Un giorno incontra un dottore e una psicologa che faranno di tutto per aiutarla e introdurla nel nostro mondo, compreso il cercare di preservarla dalla morbosa curiosità dei media che vorrebbero farne un fenomeno da baraccone.
La storia, come si vede, ricalca molto da vicino Il ragazzo selvaggio (qui in versione femminile) di François Truffaut, anche se gli esiti sono (purtroppo) molto diversi: Nell, nonostante il prodigarsi anima e corpo di Jodie, non riesce a sollevarsi da una patina eccessivamente buonista, con esagerati richiami 'new age': peccato perchè il regista Michael Apted è tuttora un valente documentarista, e sicuramente un taglio più 'scientifico' e meno melassoso a questa pellicola avrebbe di sicuro giovato... pazienza.
Fermo restando comunque che la Foster è, come al solito, assolutamente 'mostruosa' nella sua interpretazione: "All'inizio - disse - essendo io una persona che ama avere il controllo delle cose ero terrorizzata da questa parte: credevo che sarebbe stata difficile e che sarei stata molto infelice. Alla fine delle riprese ero felice come un'allodola!"
Logico, per una che sa rendere ordinarie anche le missioni impossibili.
E' la Foster, bellezza!
lunedì 20 agosto 2012
I PIU' GRANDI DI TUTTI
(id.)
di Carlo Virzì (Italia, 2011)
Con Marco Cocci, Claudia Pandolfi, Alessandro Roja, Dario Cappanera, Corrado Fortuna, Catherine Spaak, Frankie HI-NRG MC
Per chi non lo sapesse, Carlo Virzì è il fratello meno noto del più celebre Paolo. E sempre per chi non lo sapesse, anche lui ogni tanto si diletta a fare il regista e lo sceneggiatore. Attività che svolge nei ritagli di tempo della sua 'vera' professione: che (anche questa per chi non lo sapesse) è quella del musicista: sono sue infatti quasi tutte le colonne sonore dei film del fratello, ma non solo... pochi sanno che ha addirittura un passato come leader della rock-band degli Snaporaz, pittoresco gruppo indie 'livornese doc' in attività fino all'inizio del nuovo millennio.
Legatissimo al fratello maggiore, e con un tale background sulle spalle, era quasi fisiologico prevedere che il giovane Virzì si sarebbe cimentato prima o poi in un'opera almeno in parte autobiografica, specie dopo un esordio da regista non proprio da ricordare (l'inconsistente e adolescenziale L'estate del mio primo bacio, pallido tentativo di far presa sul popolo dei 'Moccia-boys'). I più grandi di tutti è infatti la storia di un fantomatico gruppo rock di provincia (livornese, ovviamente), i Pluto, specializzati in musica demenzial-ribelle e andati avanti fino a metà degli anni '90, ritagliandosi perfino il wharoliano quarto d'ora di celebrità prima che litigi e dissapori tra i componenti ne causassero lo scoglimento.
Il film parte con un canovaccio consolidato: un sedicente giornalista musicale, nonchè fan sfegatato, decide di realizzare un documentario-revilval sulla band, contattando uno per uno i quattro componenti e 'costringendoli' (ovviamente dietro compenso) a ricostituire dopo quasi vent'anni il vecchio gruppo. Impresa non facile, perchè nel frattempo i quattro si sono cortesemente ignorati e ognuno è andato avanti per la sua strada, invero non troppo felice: Loris, il batterista, è sposato con prole ed è attualmente disoccupato. Sabrina, la bassista, fa la mantenuta dal marito inetto che non ama. Maurilio, in arte Mao, vocalist e 'anima' del quartetto, fa il barista spiantato in un locale notturno. Rino, il chitarrista, accudisce il babbo infermo e si è 'normalizzato' accettando un posto fisso da operaio...
Come si vede, la storia è certamente già sentita e di sicuro non sarà nemmeno l'ultima su questo argomento... eppure, nonostante ciò, I più grandi di tutti è un film che riesce a farsi piacere, sia perchè ha dalla sua un cast ben orchestrato (scusate il gioco di parole) di ottimi attori (Marco Cocci e Claudia Pandolfi su tutti), sia perchè ti accorgi subito che è un film sincero, spontaneo, e nonostante le apparenze, neanche troppo leggero: è tutto sommato un film sull' Italia di oggi, che racconta efficacemente il senso di spaesamento e la disillusione di una generazione di quarantenni che non riesce più a vedere un futuro roseo davanti a sè: in tutti e quattro i protagonisti infatti c'è una rabbia repressa, latente da tempo, a cui si accompagna un senso di frustrazione che, inevitabilmente, condiziona anche i rapporti umani.
Nella storia dei Pluto c'è la storia di quattro persone che si accorgono troppo tardi di aver fatto qualcosa di buono, di aver significato qualcosa di importante per qualcuno senza neppure saperlo, e di aver dilapidato una piccola fortuna fatta, se non di soldi, di creatività, affetto e rapporti umani. Adesso, a distanza di tanti anni, sono rimaste solo macerie e vecchi screzi. Più assomigliante a Se sei così ti dico sì piuttosto che a Quasi Famosi, il film di Virzì Jr. è strutturalmente naif, per certi versi scontato, eppure riesce a farci riflettere sul significato dell'amicizia, sul tempo che passa e sull'importanza del ricordo. Convincendoci (quasi) che quanto di buono si è fatto in passato non necessariamente dev'essere buttato alle ortiche.
di Carlo Virzì (Italia, 2011)
Con Marco Cocci, Claudia Pandolfi, Alessandro Roja, Dario Cappanera, Corrado Fortuna, Catherine Spaak, Frankie HI-NRG MC
VOTO: ***
Per chi non lo sapesse, Carlo Virzì è il fratello meno noto del più celebre Paolo. E sempre per chi non lo sapesse, anche lui ogni tanto si diletta a fare il regista e lo sceneggiatore. Attività che svolge nei ritagli di tempo della sua 'vera' professione: che (anche questa per chi non lo sapesse) è quella del musicista: sono sue infatti quasi tutte le colonne sonore dei film del fratello, ma non solo... pochi sanno che ha addirittura un passato come leader della rock-band degli Snaporaz, pittoresco gruppo indie 'livornese doc' in attività fino all'inizio del nuovo millennio.
Legatissimo al fratello maggiore, e con un tale background sulle spalle, era quasi fisiologico prevedere che il giovane Virzì si sarebbe cimentato prima o poi in un'opera almeno in parte autobiografica, specie dopo un esordio da regista non proprio da ricordare (l'inconsistente e adolescenziale L'estate del mio primo bacio, pallido tentativo di far presa sul popolo dei 'Moccia-boys'). I più grandi di tutti è infatti la storia di un fantomatico gruppo rock di provincia (livornese, ovviamente), i Pluto, specializzati in musica demenzial-ribelle e andati avanti fino a metà degli anni '90, ritagliandosi perfino il wharoliano quarto d'ora di celebrità prima che litigi e dissapori tra i componenti ne causassero lo scoglimento.
Il film parte con un canovaccio consolidato: un sedicente giornalista musicale, nonchè fan sfegatato, decide di realizzare un documentario-revilval sulla band, contattando uno per uno i quattro componenti e 'costringendoli' (ovviamente dietro compenso) a ricostituire dopo quasi vent'anni il vecchio gruppo. Impresa non facile, perchè nel frattempo i quattro si sono cortesemente ignorati e ognuno è andato avanti per la sua strada, invero non troppo felice: Loris, il batterista, è sposato con prole ed è attualmente disoccupato. Sabrina, la bassista, fa la mantenuta dal marito inetto che non ama. Maurilio, in arte Mao, vocalist e 'anima' del quartetto, fa il barista spiantato in un locale notturno. Rino, il chitarrista, accudisce il babbo infermo e si è 'normalizzato' accettando un posto fisso da operaio...
Come si vede, la storia è certamente già sentita e di sicuro non sarà nemmeno l'ultima su questo argomento... eppure, nonostante ciò, I più grandi di tutti è un film che riesce a farsi piacere, sia perchè ha dalla sua un cast ben orchestrato (scusate il gioco di parole) di ottimi attori (Marco Cocci e Claudia Pandolfi su tutti), sia perchè ti accorgi subito che è un film sincero, spontaneo, e nonostante le apparenze, neanche troppo leggero: è tutto sommato un film sull' Italia di oggi, che racconta efficacemente il senso di spaesamento e la disillusione di una generazione di quarantenni che non riesce più a vedere un futuro roseo davanti a sè: in tutti e quattro i protagonisti infatti c'è una rabbia repressa, latente da tempo, a cui si accompagna un senso di frustrazione che, inevitabilmente, condiziona anche i rapporti umani.
Nella storia dei Pluto c'è la storia di quattro persone che si accorgono troppo tardi di aver fatto qualcosa di buono, di aver significato qualcosa di importante per qualcuno senza neppure saperlo, e di aver dilapidato una piccola fortuna fatta, se non di soldi, di creatività, affetto e rapporti umani. Adesso, a distanza di tanti anni, sono rimaste solo macerie e vecchi screzi. Più assomigliante a Se sei così ti dico sì piuttosto che a Quasi Famosi, il film di Virzì Jr. è strutturalmente naif, per certi versi scontato, eppure riesce a farci riflettere sul significato dell'amicizia, sul tempo che passa e sull'importanza del ricordo. Convincendoci (quasi) che quanto di buono si è fatto in passato non necessariamente dev'essere buttato alle ortiche.
sabato 18 agosto 2012
LA GUERRA E' DICHIARATA
(La guerre est déclarée)
di Valérie Donzelli (Francia, 2011)
con Valérie Donzelli, Jérémie Elkaim
VOTO: ****
Lei Giulietta, lui Romeo. Si chiamano davvero così, si conoscono a una festa, si baciano, si amano, mettono al mondo un figlio. Giovani, carini, innamorati. "Lo sai che andremo incontro a un tragico destino?", scherza lei... Dopo pochi mesi il pargoletto si ammala di un tumore al cervello. Ti aspetteresti da questo momento un cancer-movie in piena regola, e invece ecco che parte davvero uno dei film più sorprendenti e irriverenti dell'anno. Vedere per credere.
Il titolo parla chiaro: la giovane coppia dichiara ufficialmente guerra al male, ingaggiando una lotta senza esclusione di colpi che non risparmierà nessuno, combattendola con ogni arma possibile, prime fra tutte la Speranza e il Coraggio. La pellicola di Valérie Donzelli (anche attrice protagonista) racconta per filo e per segno come si reagisce a una disgrazia, innanzitutto non lasciandosi sopraffare dal dolore e, come si dice, prendendo il toro per le corna: niente disperazione, niente pianti, niente rassegnazione, ma solo tanta tanta energia. Anche il ritmo del film segue questa strada, assumendo incredibilmente toni più da commedia che da drammone strappalacrime: ci sono momenti da musical puro, intermezzi rockeggianti, rimandi al cinema muto, il tutto in un tripudio di colori accesi, energia ed allegria contagiosa. Vitale. Indispensabile per resistere.
Intendiamoci, non è un film ottimista: il male viene mostrato in tutta la sua violenza, senza sconti e omissioni. Vediamo lugubri corridoi ospedalieri, sale operatorie, piccoli pazienti che non ce la fanno, medici molto professionali e spesso poco umani. Ma nemmeno in un istante si ha la sensazione che qualcuno abbassi la guardia, anche a costo di pagare un prezzo altissimo. La lotta è durissima, e a un certo punto Romeo (Jérémie Elkaim) si chiede 'Perchè proprio a noi?' La risposta della compagna è una delle più belle battute dell'anno: 'Perchè noi ce la possiamo fare!'
A questo punto, non bisognerebbe dirlo per non condizionare il giudizio del pubblico, ma non si può prescindere da un dato di fatto: i due giovani protagonisti fanno coppia anche nella vita vera, e quella che si vede sullo schermo è la loro storia, quello che è successo davvero al loro figlio. Se questa storia l'avesse raccontata Hollywood ne avrebbe fatto un polpettone mieloso e ricattatorio, stile Voglia di tenerezza. Se fosse finita tra le mani di un regista italiano (una Comencini qualsiasi...) ne sarebbe venuto fuori un cupo e tragico melodramma da camera. Invece La guerra è dichiarata è una pellicola frizzante e contagiosa, che rifulge di voglia di vivere.
Per una volta dobbiamo ammetterlo: Francia - Resto del Mondo 1-0.
di Valérie Donzelli (Francia, 2011)
con Valérie Donzelli, Jérémie Elkaim
VOTO: ****
Lei Giulietta, lui Romeo. Si chiamano davvero così, si conoscono a una festa, si baciano, si amano, mettono al mondo un figlio. Giovani, carini, innamorati. "Lo sai che andremo incontro a un tragico destino?", scherza lei... Dopo pochi mesi il pargoletto si ammala di un tumore al cervello. Ti aspetteresti da questo momento un cancer-movie in piena regola, e invece ecco che parte davvero uno dei film più sorprendenti e irriverenti dell'anno. Vedere per credere.
Il titolo parla chiaro: la giovane coppia dichiara ufficialmente guerra al male, ingaggiando una lotta senza esclusione di colpi che non risparmierà nessuno, combattendola con ogni arma possibile, prime fra tutte la Speranza e il Coraggio. La pellicola di Valérie Donzelli (anche attrice protagonista) racconta per filo e per segno come si reagisce a una disgrazia, innanzitutto non lasciandosi sopraffare dal dolore e, come si dice, prendendo il toro per le corna: niente disperazione, niente pianti, niente rassegnazione, ma solo tanta tanta energia. Anche il ritmo del film segue questa strada, assumendo incredibilmente toni più da commedia che da drammone strappalacrime: ci sono momenti da musical puro, intermezzi rockeggianti, rimandi al cinema muto, il tutto in un tripudio di colori accesi, energia ed allegria contagiosa. Vitale. Indispensabile per resistere.
Intendiamoci, non è un film ottimista: il male viene mostrato in tutta la sua violenza, senza sconti e omissioni. Vediamo lugubri corridoi ospedalieri, sale operatorie, piccoli pazienti che non ce la fanno, medici molto professionali e spesso poco umani. Ma nemmeno in un istante si ha la sensazione che qualcuno abbassi la guardia, anche a costo di pagare un prezzo altissimo. La lotta è durissima, e a un certo punto Romeo (Jérémie Elkaim) si chiede 'Perchè proprio a noi?' La risposta della compagna è una delle più belle battute dell'anno: 'Perchè noi ce la possiamo fare!'
A questo punto, non bisognerebbe dirlo per non condizionare il giudizio del pubblico, ma non si può prescindere da un dato di fatto: i due giovani protagonisti fanno coppia anche nella vita vera, e quella che si vede sullo schermo è la loro storia, quello che è successo davvero al loro figlio. Se questa storia l'avesse raccontata Hollywood ne avrebbe fatto un polpettone mieloso e ricattatorio, stile Voglia di tenerezza. Se fosse finita tra le mani di un regista italiano (una Comencini qualsiasi...) ne sarebbe venuto fuori un cupo e tragico melodramma da camera. Invece La guerra è dichiarata è una pellicola frizzante e contagiosa, che rifulge di voglia di vivere.
Per una volta dobbiamo ammetterlo: Francia - Resto del Mondo 1-0.
lunedì 13 agosto 2012
TIRANDO LE SOMME... STAGIONE 2011/2012
Benvenuti al nord |
Sherlock Holmes: gioco d'ombre |
The Avengers |
Il gatto con gli stivali |
Breaking down - part 1 |
I PRIMI 20 INCASSI DELLA STAGIONE 2011/2012
1. Benvenuti al nord Italia 27.159.693 euro
2. Sherlock Holmes: gioco d'ombre Gb 18.608.986 euro
3. The Avengers Usa 17.937.488 euro
4. Il Gatto con gli stivali Usa 16.309.369 euro
5. Breaking down - part 1 Usa 15.736.647 euro
6. Quasi amici Francia 14.694.518 euro
7. Kung Fu Panda 2 Usa 12.532.528 euro
8. Immaturi - il viaggio Italia 11.814.139 euro
9. Vacanze di Natale a Cortina Italia 11.726.137 euro
10. I Puffi 3D Usa 11.377.173 euro
11. I soliti idioti Italia 10.770.653 euro
12. Finalmente la felicità Italia 10.329.472 euro
13. La peggior settimana della mia vita Italia 9.696.836 euro
14. Posti in piedi in paradiso Italia 9.300.365 euro
15. Midnight in Paris Usa 8.900.532 euro
16. Titanic 3D Usa 7.878.339 euro
17. To Rome with love Usa 7.783.433 euro
18. Hugo Cabret Usa 7.488.887 euro
19. Com'è bello far l'amore Italia 6.893.378 euro
20. Dark Shadows Usa 6.636.368 euro
I ' TOP ' DELLA STAGIONE 2011 / 12 ...
CLICCA SUL TITOLO PER LEGGERE LA RECENSIONE
Un vero 'miracolo' di film, raro e prezioso. Un gioiellino di inestimabile valore, tenerissimo, disarmante nella sua semplicità e nella capacità di colpire immediatamente al cuore chi lo guarda: una storia universale, senza tempo, virata in colori pastello e fatta di comicità surreale, grandi silenzi e tanta, tanta umanità, nel perfetto stile del grande regista finlandese. Da vedere e rivedere, senza stancarsi mai...
Chi giudica il cinema prima con la testa piuttosto che col cuore l'ha trovato un mero esercizio di stile, nostalgico e citazionista. Noi, che invece prediligiamo SEMPRE l'emozione al cervello, l'abbiamo adorato fin dalla prima inquadratura: una pellicola MUTA, eppure più moderna di mille altre che vediam: una storia d'amore e passione, orgoglio e dignità, caduta e rinascita, che funziona a tutte le latitudini indipendentemente dalla tecnica usata per girarla. Un film 'meraviglioso', nel senso letterale del termine, che affascina lo spettatore e dimostra tutte le (immense) potenzialità della Settima Arte.
Polanski torna dietro la macchina da presa con la saggezza e lo stile di un allenatore di calcio consapevole di avere tra le mani una squadra imbattibile: la sua regìa è 'invisibile' e funzionale a uno dei cast più strabilianti degli ultimi anni: Jodie Foster, John C. Reilly, Kate Winslet e Christopher Waltz fanno a gara a rubarsi la scena in un film che è un tripudio di perfidia e humor nero. Un vero 'manuale di recitazione', che funziona alla meraviglia e rasenta davvero la perfezione.
venerdì 10 agosto 2012
... E I " FLOP " DELL'ANNO ( SENZA SCONTI PER NESSUNO ! )
Spielberg tenta ancora di commuovere lo spettatore con storielle edificanti e dalla lacrima facile, ma ormai ha perso completamente lo smalto e la genuinità delle sue opere più importanti. Questo War Horse è un film precotto e senza spina dorsale, buonista e stucchevole, impossibile da prendere sul serio. Tipico prodotto di un cineasta al top della 'fama' ma che, da tempo, non ha più 'fame' di cinema.
Ci sono film che talvolta ti fanno proprio arrabbiare, non tanto per la loro bruttezza ma perchè non mantengono le attese. L'ultimo film della Comencini parte benissimo, si sviluppa discretamente, per poi naufragare in un finale ridicolo e posticcio. Poteva essere un ottimo psico-thriller made in Italy, finisce per essere l'ennesima occasione perduta di un cinema italiano sempre (troppo) attento a compiacere lo spettatore piuttosto che elevarsi raccontando storie difficili e alternative. Peccato.
4. THE RAVEN di James McTeague
Stentiamo davvero a riconoscere in questa regìa scialba e poco convinta il James McTeague che ci fece gridare (quasi) al miracolo con 'V per Vendetta'... Qui la 'trovata' (anche interessante) di raccontare le ultime ore di vita di Edgar Allan Poe si scontra con una messinscena piatta e dozzinale: girato in economia, finito in fretta e furia, recitato al minimo sindacale, il film si dimentica quasi subito. Praticamente inconsistente.
Nella classifica degli incassi ha quasi eguagliato il successo del primo capitolo, ma evidentemente solo per l'accurata strategia di marketing messa in atto da Medusa... Sequel pallidissimo e banalotto, fotocopia ingiallita di un 'originale' che poi tanto originale non era (si rifaceva a sua volta ad una fortunata commedia francese). Ma il primo almeno faceva ridere... qui nemmeno Bisio (comico che a me piace tantissimo) riesce a risollevare la baracca.
Tecnicamente non puoi dire che si tratta di un brutto film, e la brava Michelle Williams si getta anima e (soprattutto) corpo nell'impersonare il mito. Ma un personaggio così straordinario e fuori del comune come Marilyn meritava ben di più, nell'anniversario della scomparsa, di una pellicola così terribilmente 'ordinaria'.
Di Verdone il sottoscritto vorrebbe scrivere sempre tutto il bene possibile, ma questo suo ultimo lungometraggio è da rimuovere in fretta... desideroso, da troppo tempo ormai, di cambiare registro e fare il tanto sospirato 'salto di qualità', il regista romano indugia troppo e non ha il coraggio di scavare davvero in profondità, realizzando un film che non sai mai dove va a parare, in bilico tra commedia e dramma, ironia e riflessione sociale, gettando sul piatto troppi argomenti ma senza approfondirne nemmeno uno. Alla prossima, Carlo.
ADDIO A CARLO RAMBALDI, IL 'POETA' DEGLI EFFETTI SPECIALI
Ai giovani lettori il suo nome dirà pochissimo, ma Carlo Rambaldi, morto oggi all'età di 87 anni nella sua adorata Calabria, era molto più di un semplice artigiano del cinema...
Lui non era un regista e non scriveva sceneggiature, e nemmeno sapeva recitare: era nato disegnatore e il suo talento lo portò ben presto a Hollywood, dove per tutta la vita si occupò di effetti speciali. Ma, attenzione, non quelle diavolerie computerizzate e impersonali con le quali oggi si riesce a costruire tutto (e che emozionano quanto una camomilla calda). Rambaldi faceva tutto con le proprie mani, utilizzando carta, legno, colla e plastilina. Era una specie di Frankenstein buono, capace di far sognare intere generazioni di adolescenti (e non solo...) semplicemente con le 'creature' che plsamava con le proprie mani da artista.
E' stato il papà di E.T. , tanto per dirne una... ma ben prima del mostriciattolo caduto sulla terra, lo stesso Spielberg lo aveva incaricato di dare una forma agli alieni di Incontri Ravvicinati del terzo tipo: e da quel momento, incredibilmente, ogni fantomatico avvistamento di 'marziani' sulla terra descriveva gli 'omini' esattamente come li aveva fatti lui... E ancora, a proposito di alieni, come dimenticare appunto Alien e l'inconfondibile shilouette del 'mostro' che fece dannare la povera Ripley: un'icona del cinema di fantascienza. Ma già qualche anno prima Rambaldi ci aveva fatto spaventare a morte con lo scimmione più famoso della storia del cinema: suo infatti il progetto di King Kong, per il quale costruì un pupazzo alto 12 metri mosso da un telecomando...
Ultimamente, nonostante l'età avanzata e la dorata pensione di cui godeva, non si era certo distaccato dal mondo dello spettacolo: proprio quest'inverno abbiamo avuto occasione di ammirare la versione teatrale de La Divina Commedia, dove aveva curato le scenografie e i costumi dei vari personaggi della saga dantesca. Era una persona dotata di grande fantasia e genialità, che tuttavia preferiva umilmente restare nell'ombra e ammirare in disparte le sue 'creature' messe al servizio di altri.
Una gran bella persona, oltre che un genio assoluto.
Ci mancherai, Carlo.
Lui non era un regista e non scriveva sceneggiature, e nemmeno sapeva recitare: era nato disegnatore e il suo talento lo portò ben presto a Hollywood, dove per tutta la vita si occupò di effetti speciali. Ma, attenzione, non quelle diavolerie computerizzate e impersonali con le quali oggi si riesce a costruire tutto (e che emozionano quanto una camomilla calda). Rambaldi faceva tutto con le proprie mani, utilizzando carta, legno, colla e plastilina. Era una specie di Frankenstein buono, capace di far sognare intere generazioni di adolescenti (e non solo...) semplicemente con le 'creature' che plsamava con le proprie mani da artista.
'Alien', 1979 |
'King Kong', 1976 |
Una gran bella persona, oltre che un genio assoluto.
Ci mancherai, Carlo.
giovedì 2 agosto 2012
TAKE SHELTER
(id.)
di Jeff Nichols (USA, 2011)
con Michael Shannon, Jessica Chastain, Tova Stewart
VOTO: ***
Take Shelter è un film sul nostro tempo. Un film che parla di inadeguatezza, quella di un padre di famiglia che si sente impotente nel proteggere la figlia da eventi che ritiene più grandi di lui. E' fin troppo facile traslare questo concetto a livello universale: la paura, l'angoscia, l'insicurezza degli uomini verso un futuro che si prospetta tutt'altro che roseo, incapace di garantire certezze e tranquillità alle nuove generazioni. Il film del giovane regista Jeff Nichols non è certo originalissimo nel genere, ma denota certamente classe e tecnica nel trascinare lo spettatore nel ventre di un incubo moderno, a metà strada tra horror contemporaneo e thriller psicologico. Comunque coinvolgente (quasi) fino alla fine.
Curtis Laforche (un sempre bravissimo Michael Shannon, ormai abbonato ai ruoli 'borderline') è un bravo carpentiere, caporeparto in una ditta di costruzioni. Il lavoro è duro e complesso, ma la paga è buona: comunque sufficiente a garantire un certo benessere alla moglie Samantha (Jessica Chastain) e alla piccola figlia Hanna, affetta da autismo. Ma l'handicap della bambina non mina la quiete famigliare, anzi: la malattia cementifica ancora di più i rapporti tra i due genitori, che possono dirsi una felice e tipica famiglia medio-borghese americana.
Improvvisamente, però, un giorno Curtis comincia ad avere incubi terribili, accompagnati da sudore freddo e allucinazioni. All'inizio non gli dà peso, anche se si sente sempre più spossato e fa la pipì a letto come i bambini. Ma poi l'uomo peggiora sempre di più, arrivando ai limiti della pazzia e della mania di persecuzione: convinto che un cataclisma si stia per abbattere sul pianeta, è terrorizzato per la sorte della figlia (che, in quanto handicappata, non può difendersi) e comincia a dilapidare i risparmi di una vita per assicurare alla piccola la dovuta protezione. Logico che questo repentino cambiamento di prospettiva ha conseguenze disastrose sulla propria salute e sui legami famigliari: Curtis perde il lavoro, litiga con la moglie, diventa sempre più ossessionato e paranoico, una scheggia impazzita.
Take Shelter è un film ben costruito, che dosa sapientemente i livelli di emotività e tensione, inculcando in chi guarda una sensazione opprimente di disagio. Ottima la scelta di non procedere in un crescendo rossiniano di eventi infausti (come in ogni horror comune), ma di mantenere sempre uguale il livello delle turbe psichiche del protagonista, così da non permettere alla spettacolarità delle immagini e della narrazione di avere la meglio sul clima negativo che si respira, vero scopo della pellicola. Peccato però che alla fine tutto si risolva in un epilogo troppo 'evocativo' e improbabile, dove gli echi soprannaturali appaiono francamente esagerati rispetto a quanto si è visto nelle due ore precedenti.
Un buon prodotto, comunque, degno per concludere la stagione cinematografica, purtroppo soffocato dal solleone e dalla disaffezione tutta italiana per il cinema estivo. Ma questa è storia vecchia...
di Jeff Nichols (USA, 2011)
con Michael Shannon, Jessica Chastain, Tova Stewart
VOTO: ***
Take Shelter è un film sul nostro tempo. Un film che parla di inadeguatezza, quella di un padre di famiglia che si sente impotente nel proteggere la figlia da eventi che ritiene più grandi di lui. E' fin troppo facile traslare questo concetto a livello universale: la paura, l'angoscia, l'insicurezza degli uomini verso un futuro che si prospetta tutt'altro che roseo, incapace di garantire certezze e tranquillità alle nuove generazioni. Il film del giovane regista Jeff Nichols non è certo originalissimo nel genere, ma denota certamente classe e tecnica nel trascinare lo spettatore nel ventre di un incubo moderno, a metà strada tra horror contemporaneo e thriller psicologico. Comunque coinvolgente (quasi) fino alla fine.
Curtis Laforche (un sempre bravissimo Michael Shannon, ormai abbonato ai ruoli 'borderline') è un bravo carpentiere, caporeparto in una ditta di costruzioni. Il lavoro è duro e complesso, ma la paga è buona: comunque sufficiente a garantire un certo benessere alla moglie Samantha (Jessica Chastain) e alla piccola figlia Hanna, affetta da autismo. Ma l'handicap della bambina non mina la quiete famigliare, anzi: la malattia cementifica ancora di più i rapporti tra i due genitori, che possono dirsi una felice e tipica famiglia medio-borghese americana.
Improvvisamente, però, un giorno Curtis comincia ad avere incubi terribili, accompagnati da sudore freddo e allucinazioni. All'inizio non gli dà peso, anche se si sente sempre più spossato e fa la pipì a letto come i bambini. Ma poi l'uomo peggiora sempre di più, arrivando ai limiti della pazzia e della mania di persecuzione: convinto che un cataclisma si stia per abbattere sul pianeta, è terrorizzato per la sorte della figlia (che, in quanto handicappata, non può difendersi) e comincia a dilapidare i risparmi di una vita per assicurare alla piccola la dovuta protezione. Logico che questo repentino cambiamento di prospettiva ha conseguenze disastrose sulla propria salute e sui legami famigliari: Curtis perde il lavoro, litiga con la moglie, diventa sempre più ossessionato e paranoico, una scheggia impazzita.
Take Shelter è un film ben costruito, che dosa sapientemente i livelli di emotività e tensione, inculcando in chi guarda una sensazione opprimente di disagio. Ottima la scelta di non procedere in un crescendo rossiniano di eventi infausti (come in ogni horror comune), ma di mantenere sempre uguale il livello delle turbe psichiche del protagonista, così da non permettere alla spettacolarità delle immagini e della narrazione di avere la meglio sul clima negativo che si respira, vero scopo della pellicola. Peccato però che alla fine tutto si risolva in un epilogo troppo 'evocativo' e improbabile, dove gli echi soprannaturali appaiono francamente esagerati rispetto a quanto si è visto nelle due ore precedenti.
Un buon prodotto, comunque, degno per concludere la stagione cinematografica, purtroppo soffocato dal solleone e dalla disaffezione tutta italiana per il cinema estivo. Ma questa è storia vecchia...
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