(id.)
di J.C. Chandor (USA, 2011)
con Kevin Spacey, Jeremy Irons, Paul Bettany, Zachary Quinto, Stanley Tucci, Demi Moore
VOTO: ***
"Sono solo soldi", ringhia il luciferino Jeremy Irons di fronte agli scrupoli di coscienza di un tormentato Kevin Spacey... Nel corso di una notte, una lunghissima notte, si compie il destino di una grande banca d'affari che per evitare il fallimento è costretta a liquidare le sue azioni appioppandole agli ignari risparmiatori che, di lì a poche ore, si ritroveranno con un pugno di mosche in mano. Margin Call è il vocabolario illustrato della crisi finanziaria e sociale di questi primi anni duemila, dove il capitalismo impazzito è un gioco che sfugge di mano perfino a chi pensava di detenerne il controllo, e dove nei lussuosi uffici con le vetrate su Manhattan si assiste cinicamente alla disgregazione di un modello di società civile che non regge più di fronte al Dio Denaro.
I soldi, infatti, sono i veri protagonisti di questa pellicola. Si parla solo di soldi, tanti soldi, così tanti da perderne di vista anche il loro reale significato. Nella new-economy coloro che accumulano soldi sono anonimi impiegati in giacca, cravatta e camicia inamidata, che spostano vagonate di denaro cazzeggiando sulla tastiera di un computer. Si chiamano manager, broker, trader... non sanno nemmeno quanto guadagnano. Non producono. Non vivono e non se li godono neppure. Il giovane analista appena assunto dall'azienda guadagna 250mila dollari all'anno e non sa come spenderli, chiedendo 'consigli' a chi guadagna dieci volte tanto.
Margin Call è la cronaca di una malattia, di un sistema sull'orlo della decomposizione che finisce per travolgere chiunque. E' la resa dei conti di chi ha permesso la concentrazione di un Potere immenso nelle mani di (troppe) poche persone, spesso incapaci di gestirlo. Nel film non se ne parla, ma è evidente il riferimento al caso Lehman-Brothers, uno dei tanti giganti dai piedi d'argilla che negli ultimi tempi hanno gettato sul lastrico migliaia di risparmiatori, avviando la grande crisi economica mondiale.
Un film lodevole nelle intenzioni, coraggioso e rigoroso nel suo tentativo di denuncia e indignazione, ma eccessivamente strozzato dalla sua impostazione teatrale, rigida e ideologizzata, che ne fanno una pellicola troppo schematica e troppo spesso scadente nell'ovvietà, di stampo classico stile cinema anni '70 ma senza i 'guizzi' registici geniali di, che so, di un Michael Mann o un Alan Pakula. Ne viene fuori un film tenuto brillantemente a galla dai suoi splendidi attori, che sopperiscono con i loro sguardi e i loro silenzi a una sceneggiatura abbastanza enfatica e stereotipata.
Molti hanno scomodato per i consueti paragoni Wall Street o Inside Job, ma a noi Margin Call fa venire in mente soprattutto uno splendido e (purtroppo) poco conosciuto film di una ventina d'anni fa, Glengarry Glen Ross di James Foley, da noi conosciuto col titolo di Americani e che aveva tra i protagonisti, guardacaso, lo stesso Kevin Spacey. Basta rivedersi questa pellicola, che all'epoca anticipava a gamba tesa tutti i discorsi che abbiamo appena fatto, per rendersi conto che Margin Call non ne è che la copia sbiadita. Ma se serve per scuotere anche una sola coscienza, comunque, ben venga.
Chissà se anche qui Kevin Spacey ci riserverà qualche colpo di scena :D
RispondiEliminaGrazie per avermi fatto ricordare il grandissimo film di Losey. Hai ragione, sembra quasi che sia stato girato oggi tanto è attuale. Con un cast da capogiro, primo fra tutti il compianto Jack Lemmon.
RispondiEliminaMarco
Americani l'ho visto tanto tempo fa con mio padre. Veramente un grandissimo film. Se Margin Call li somiglia anche solo la metà siamo dalle parti del capolavoro.
RispondiElimina@ newmoon: 'Margin Call', come ho detto, in sè non è un brutto film. Però il confronto con 'Americani', secondo me', è impietoso... ma quello, concordo con te, è un vero capolavoro.
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