Diversi lettori di questo blog mi chiedono perchè non parlo mai del Festival di Roma, che è in pieno svolgimento in questi giorni. I motivi sono più d'uno: intanto, perchè non ci sono mai stato. Poi, perchè di lavoro (purtroppo) non faccio il critico cinematografico, e non posso prendere tutte le ferie a mio piacimento. Infine, cosa più importante, perchè stringi stringi... proprio non riesco ad appassionarmi alla rassegna capitolina.
Strana manifestazione, infatti, quella romana. Nata sei anni orsono per uno sfizio di Walter Veltroni, il politico più cinefilo della storia repubblicana (più cinefilo che politico secondo alcuni, ma questo non c'interessa...), la Festa del Cinema (all'inizio si chiamava così) doveva essere nelle intenzioni del suo creatore una specie di 'happening' gioioso e gioviale, assolutamente non competitivo, fatto per un pubblico di appassionati (ma non elitario), e costituire una vetrina di lancio soprattutto per il cinema di casa nostra. Solo che tra il dire e il fare... ci sono sempre di mezzo i quattrini! Tradotto: gli sponsor non vedevano di buon occhio una rassegna non competitiva, in quanto il Concorso è il sale di ogni Festival , e allora ecco che la 'creatura' veltroniana si trasforma ben presto in un qualcosa di poco 'conviviale' e invece molto più 'ufficiale'.
La Festa di Roma infatti istituisce il suo bel primo premio (il Marco Aurelio d'Oro), una moltitudine di sezioni collaterali, stringe accordi col Tribeca Film Festival di De Niro per assicurarsi titoli americani di grande richiamo, organizza spazi, incontri, dibattiti, eventi mondani come ogni Festival che si rispetti. Logico dunque che, magari anche in buona fede, il Festival capitolino irrompa a gamba tesa nei rapporti con la Mostra di Venezia, la più antica rassegna cinematografica del mondo, suscitando un vespaio di polemiche e rivalità da osteria con gli organizzatori lagunari, vuoi anche per il periodo di svolgimento scelto da Veltroni, vale a dire fine ottobre-inizio novembre: a poco più di un mese, dunque, dalla fine della Mostra. Ed ecco quindi scatenarsi furibonde guerre intestine (ben poco 'onorevoli', per la verità) per accaparrarsi questo o quel film, questo o quel divo e, soprattutto, i fondi pubblici a disposizione.
Nel frattempo però accadono altri fatti: Veltroni si dimette da sindaco per sfidare Berlusconi alle politiche del 2008 (sappiamo com'è finita). Il suo successore 'designato', Francesco Rutelli, perde rovinosamente contro Gianni Alemanno la sfida per il Campidoglio, relegando così la 'patata bollente' nelle mani dell'ex-delfino di Gianfranco Fini. Alemanno, dal canto suo, dimostra di gradire la manifestazione quanto il cavolo a merenda, e cerca apertamente di 'smarcarsene'. Ma non è facile, anche per assurde e medievali dispute di 'campanile' con i ministri del 'nord' (Zaia e Galan in primis). E allora ecco materializzarsi la svolta ' a destra': pur con un robusto taglio ai finanziamenti pubblici, la rassegna sopravvive. Da 'Festa' si trasforma in 'Festival' (a rimarcare la 'serietà' della cosa) e la direzione artistica viene affidata al novantenne (!) Gian Luigi Rondi che sceglie Piera Detassis, direttrice di Ciak, come 'coordinatrice' della manifestazione.
Perchè vi ho parlato di tutto questo? Per farvi capire come il Festival di Roma sia più che altro un 'compromesso' tra gestioni, una cosa 'ibrida' e poco definita, nè carne nè pesce, che non sa ancora bene dove andrà a parare in futuro. Vorrebbe essere, come detto, un festival più snello e meno 'ufficiale, ma alla fine la struttura è pachidermica quanto quelle di Venezia e Cannes. Vorrebbe essere una rassegna a favore del nostro cinema, ma alla fine il business (leggi i grandi distributori americani) lascia ben poco spazio ai selezionatori, vorrebbe proporre un cartellone che unisca cinema commerciale di qualità e cinema d'autore, ma la bilancia (ahimè) è spesso sbilanciata a favore del primo (pur con ottime scelte: da Roma sono passati, tanto per fare degli esempi, film come The Prestige, The departed, Into the Wild, Juno, I ragazzi stanno bene, The social network). Vorrebbe, infine, seppur sommessamente, confrontarsi con i grandi festival, ma il livello del concorso è, almeno in queste prime edizioni, abbastanza scadente (nonostante ottime eccezioni come L'uomo che verrà, In un mondo migliore, Brotherhood).
Insomma, un Festival che deve decidere cosa fare 'da grande': se, cioè, sfidare apertamente i propri concorrenti più prestigiosi (a suon di diplomazia e tanti, tanti soldi) oppure restare una kermesse di medio interesse, piuttosto commerciale, ad uso e consumo del pubblico mediamente giovane e meno 'smaliziato'. Noi, dal canto nostro, provvederemo a proporre e recensire quanto di buono vi uscirà, pur senza tuffarci nella 'movida' capitolina. Le 'vacanze romane' non sono ancora cominciate...