Primo film italiano a scendere in campo a Venezia (anche se non in Concorso, ma nelle Giornate degli Autori) e, ahimè, prima grossa delusione. Dispiace dirlo, perchè Gaglianone è un regista che vale, che ci era piaciuto moltissimo con I nostri anni e che l'anno scorso, ricordiamolo, si fece apprezzare al Festival di Locarno con Pietro, unico titolo italiano in gara.
Ma Ruggine, purtroppo, non regge il confronto con i titoli sopracitati. E non regge il confronto nemmeno con la pazienza di noi spettatori, ormai STUFI, passateci il termine, di assistere a pellicole italiane così cupe, ineluttabili, iper-drammatiche e violente. Sembra quasi che, in una produzione nazionale dominata dalle commedie, chi vuole fare il cineasta 'figo' non aspetti altro che girare un film disperato e tragico, giusto per farsi distinguere e far vedere quanto si è 'impegnati'. Mai, dico mai, una linea di mezzo! Era così difficile fare un semplice film di genere, un noir duro e puro senza per forza voler toccare mille argomenti scabrosi, per poi non approfondirne neanche uno?
Ruggine vorrebbe essere un film sulla pedofilia e sulla violenza minorile. E Gaglianone sceglie di utilazzare la struttura del noir, appesantendola di uno stucchevole gioco di incastri dove i protagonisti di un tempo si portano dietro le violenze (fisiche e morali) del passato, scaricandole sui malcapitati protagonisti del presente. Il problema è che il film è stanco, ripetitivo, irreale e sopra le righe. E non emoziona praticamente mai. Filippo Timi ce la mette tutta per essere credibile nel ruolo dell'orco di turno, ma finisce per sembrare la caricatura di se stesso. E anche gli altri 'colleghi' certo non lo aiutano, confermando certi dubbi sulle reali capacità recitative di attori come Stefano Accorsi e Valeria Solarino, spesso omaggiati (forse) oltre i loro meriti. Valerio Mastandrea invece, se non altro, prova a darsi da fare, ma certi ruoli proprio non sono per lui. Non ce la può fare.
VOTO: **
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