Quante volte nella vita ci capita di dover indossare una maschera? Quante volte ci sforziamo di apparire diversi, magari migliori di quello che pensiamo di essere? A tutti è capitato, almeno una volta, di sentirsi deboli, insicuri, inadeguati per un ruolo, una persona o una compagnia. Per molti è una situazione eccezionale, circoscritta a cause ed eventi particolari. Per altri può essere sintomo di un malessere passeggero, dovuto a periodi poco felici o a profondi cambiamenti della propria vita.
Ci sono però persone alle quali questo disagio non passa, anzi si intensifica man mano che passa il tempo. Persone per le quali la propria vita perde di significato, tanto da sentirsi vuote, inutili, terribilmente sole. E allora il malessere diventa cronico, togliendo all'individuo ogni speranza di combattere e reagire. In questi casi non si parla più di malessere ma di depressione: una malattia subdola e tremenda, sempre più diffusa nella società moderna, che crea dipendenza esattamente come la droga: in questo caso un abisso emotivo fatto di negatività nel quale si affonda sempre di più e non si riesce a risalire.
Walter Black (Mel Gibson) è un uomo depresso. Non sappiamo il perchè, e del resto non ha importanza perchè la depressione può colpire tutti e per cause imperscrutabili. L'ultimo film di Jodie Foster inizia così, con lei stessa nei panni di una donna in carriera costretta, per il proprio bene e per quello dei figli, a cacciare di casa il marito ridotto a uno stato vegetale. L'uomo vaga per la città, si ubriaca, tenta di uccidersi. Ma al momento di compiere l'estremo gesto viene 'salvato' da un 'amico' insospettatato, che gli si presenta sotto forma di un castoro di peluche attraverso il quale Walter si trasforma e si lega indissolubilmente, come un suo 'doppio', ridandogli una speranza. A questo punto, lo sviluppo di un qualsiasi altro film hollywoodiano prevederebbe la 'rinascita' del personaggio, la sua ascesa sociale dopo la discesa agli inferi, la rivincita personale e il successo dopo aver toccato il fondo. E almeno all'inizio sarà cosi, ma solo per poco.
Il pupazzo rappresenta, evidentemente, lo 'schermo' protettivo di Walter. E' la sua controfigura, quella che gli serve per apparire una persona nuova, migliore, nei confronti degli altri e anche di se stesso. Ma nella vita 'barare' serve a poco: l'uomo diventa via via 'schiavo' del pupazzo, dal quale non riesce più a staccarsi per la paura di mostrarsi per quello che è davvero, e non riuscendo più a contenere il disagio oppressivo e latente che ha sempre covato dentro di sè. La situazione precipita, fino a diventare sempre più drammatica, con conseguenze estreme e incontrollabili.
Il terzo film di Jodie Foster, a sedici anni di distanza dal bellissimo A casa per le vacanze, è una pellicola forte, grottesca e problematica come il suo protagonista. Con toni da commedia, a volte anche molto divertente, ma che lasciano presagire a ogni fotogramma il precipitare di una situazione drammatica e estrema, Mr. Beaver è ancora una volta un trattato sulla famiglia e sul complesso microcosmo di cui è composta, temi da sempre cari alla regista. Un film coraggioso, che indaga senza indulgenza su un argomento scomodo e ostile come il male di vivere e la difficoltà dello stare al mondo, e che certo non invoglia alla visione lo 'spettatore medio' in cerca di storielle edificanti (non a caso gli incassi americani sono stati disastrosi). Bellissime le prove degli attori principali, con la Foster pronta con umiltà a fare da spalla ad uno splendido Mel Gibson, in un ruolo per il quale non è stato scelto certamente a caso... ed evitiamo in questa sede inutili riferimenti alla sua vita privata. Il film certo non è perfetto, ma l'onestà morale e le forti (e genuine) emozioni che suscita fanno passare in secondo piano difetti evidenti, come la vicenda parallela e posticcia del figlio maggiore, avulsa dalla trama, e un finale forse troppo accomodante rispetto a quanto visto prima.
Ma non è compito del cinema dare risposte alle persone. Mr. Beaver disturba, commuove e fa riflettere. A noi va benissimo così.
VOTO: * * * *
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