Può sembrare un paradosso: vedere nel giorno di Natale un film che parla di morte. Eppure Departures, il film giapponese che nel 2008 ha conquistato l'Oscar come Miglior Film Straniero è uno dei film più 'natalizi' che abbia mai visto, nel senso buono del termine. E' una pellicola poetica, lieve, disarmante nella sua delicatezza e nella facilità con la quale riesce a penetrare nei sentimenti di chi la guarda, affrontando e sdrammatizzando con toni ora comici ora toccanti (ma mai drammatici o ricattatori) un argomento difficile come, appunto, quello del... trapasso.
Sì, perchè le 'partenze' del titolo non sono altro che quelle... verso l'aldilà! Nello stesso equivoco cade ingenuamente anche Daigo, giovane musicista disoccupato che torna al paesello natìo per ricostruirsi una vita e cercare un nuovo impiego. Il protagonista risponde ad un ambiguo annuncio di lavoro, credendo di essere stato assunto da un'agenzia di viaggi, mentre invece capirà ben presto che quell' 'agenzia' si occupa in particolare solo... dell' 'ultimo' viaggio! Daigo si ritrova così a fare il 'tanato-esteta', vale a dire colui che nell'antichissima tradizione giapponese ha il compito di rivestire, curare e ridare dignità al corpo dei defunti prima di essere cremati.
All'inizio la 'novità' è ovviamente sconvolgente, ma la paga è buona e la fatica non è molta. E così Daigo accetta il lavoro, scoprendo giorno dopo giorno di avere un particolare talento... lui, ragazzo timido e molto sensibile, con scarsa fiducia in se stesso (ha rinunciato alla carriera musicale perchè convinto della sua mediocrità) scoprirà attraverso il rapporto con i familiari dei defunti e la sacralità di un'arte vecchia quanto il mondo, la chiave di volta per la sua esistenza. Attraverso una danza rituale (ma mai macabra) che toglie i vestiti e ricompone la salma restituendole un aspetto umano, Daigo si sente finalmente utile e non insignificante, maturando convinzione nei suoi mezzi e ricavando da ogni 'esperienza' una significativa lezione di vita.
In Departures c'è tanta poesia e tanta bellezza. Si respira l'aria di una terra lontana e immaginifica, iper-tecnologica eppure attaccatissima alle proprie tradizioni, ai propri simboli e ai propri luoghi. Che possono essere un buon tè caldo, i peschi in fiore, un bagno pubblico frequentato dagli anziani del paese, un bar abbandonato pieno di ricordi...
E c'è anche tanta felicità, a dispetto del tema 'scabroso': quella di un ragazzo che riesce a realizzarsi e trovare la propria pace interiore, malgrado i pregiudizi degli altri. E ad infondere nello spettatore un senso di appagamento e conforto.
Scusate se è poco.
VOTO: * * * *
ciao Kelvin, approfitto di questo splendido film, del quale condivido voto e giudizio, per farti i miei migliori auguri
RispondiEliminaGrazie davvero! Ricambio volentieri ovviamente :-) anche il giudizio sul film.
RispondiEliminaBuone feste Roby!
Bellissimo, dolce e poetico!
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