Attesa però, diciamolo subito, immediatamente delusa. Delusione cocente.
Tanta era, infatti, la curiosità di vedere come una donna avrebbe affrontato il genere cinematografico americano per eccellenza, per giunta il più ‘macho’ di tutti (anche se non maschilista): ci si aspettava un tocco di originalità, un approccio diverso al genere, diciamo un altro ‘punto di vista’.
Invece niente di tutto questo. Meek’s Cutoff è l’ennesimo e stanco tentativo di ‘demistificare’ il western, sulla falsariga di tutti i titoli ‘revisionisti’ che si sono succeduti a Unforgiven di Eastwood (1992), pietra miliare del filone. Ma il film della Reichardt più che altro annoia, trattandosi di una pellicola praticamente senza trama, senza slanci, senza spessore e incredibilmente soporifera. Viene il sospetto che la regista si sia talmente premurata di voler togliere il ‘respiro epico’ dalla sua opera, da ottenere esattamente l’effetto opposto: una noiosissima e scialba istantanea di viaggio che non emoziona mai, non coinvolge e non si sa bene dove vada a parare, ammesso che davvero voglia andare a parere da qualche parte…
Non bastano i paesaggi mozzafiato, la fotografia scintillante, i costumi ricercati a fare un western. Perché il western non è una moda, né tantomeno un filone: è IL genere americano per eccellenza, e ha precisi canovacci da seguire, che non consistono nel mettere in scena un prodotto esteriormente appetitoso ma dai contenuti pressoché inesistenti. Peccato.
VOTO: * *
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