I numeri primi sono quelli divisibili solo per se stessi e per l’unità. Sono unici. Non hanno simili, sono diversi e, soprattutto, sono pochi. Pochi in confronto agli altri, all’universo della ‘normalità’.
Alice e Mattia sono due ‘numeri primi’, due persone complesse ma ‘speciali’. Hanno subito traumi infantili che hanno segnato la loro esistenza e ora portano dentro di sé tutto l’orrore e il peso dei ricordi. Hanno problemi a relazionarsi col mondo esterno, con le persone ‘normali’, e vivono una realtà fatta di complessi e paure, che frena le le loro ambizioni e le loro qualità: Alice potrebbe essere un’ottima fotografa se non avesse così timore di chi le sta intorno, Mattia è un genio dei numeri e valente matematico, ma non riesce nemmeno ad uscire di casa. I due si incontrano a una festa di scuola, alla quale sono quasi ‘costretti’ a partecipare. Si conoscono, si trovano, e da quel momento cercheranno sempre di aiutarsi: perché due numeri primi sono difficili da trovare, di solito non si incontrano mai…
Il film di Saverio Costanzo è un gioco degli equivoci: NON è ‘l’ennesimo film sul disagio giovanile’, come molti hanno sentenziato (Alice e Mattia sono e saranno UNICI per tutta la vita, non perderanno mai le loro caratteristiche). NON è assolutamente una storia d’amore (i due si cercano perché sono SOLI, non perché sono innamorati). E soprattutto NON è un film scontato e facilmente inquadrabile come molta critica cinica e prevenuta ha fatto. La solitudine dei numeri primi è un film che parla di sofferenza, di infelicità, di sentimenti repressi, di orrore trattenuto e mai elaborato. E’ la storia di due persone belle ma speciali, coraggiose, che cercano di sopravvivere in un mondo che le ignora e le ghettizza semplicemente in quanto ‘non omologate’, senza che abbiano la possibilità di rendersi conto di quanto questa possa essere una fortuna…
Tratto da un romanzo best-seller di Paolo Giordano, la pellicola di Costanzo ha oggettivamente un grosso difetto: è troppo ‘commerciale’ e troppo manieristica per ciò che racconta. Una storia così complessa e delicata avrebbe forse meritato un tono più intimista e più dimesso, sussurrato, più in linea con i personaggi. Il regista invece ne ha ricavato un thriller psicologico, sincopato, con personaggi sopra le righe, sequenze quasi horror e musiche tanto accattivanti quanto ‘ruffiane’. Ma il risultato, è giusto dirlo, non è comunque da disprezzare: alla fine la storia e i personaggi rimangono, restano loro stessi. E ci fanno capire che i ‘numeri primi’ esistono davvero, e meritano amore e rispetto.
Alice e Mattia sono due ‘numeri primi’, due persone complesse ma ‘speciali’. Hanno subito traumi infantili che hanno segnato la loro esistenza e ora portano dentro di sé tutto l’orrore e il peso dei ricordi. Hanno problemi a relazionarsi col mondo esterno, con le persone ‘normali’, e vivono una realtà fatta di complessi e paure, che frena le le loro ambizioni e le loro qualità: Alice potrebbe essere un’ottima fotografa se non avesse così timore di chi le sta intorno, Mattia è un genio dei numeri e valente matematico, ma non riesce nemmeno ad uscire di casa. I due si incontrano a una festa di scuola, alla quale sono quasi ‘costretti’ a partecipare. Si conoscono, si trovano, e da quel momento cercheranno sempre di aiutarsi: perché due numeri primi sono difficili da trovare, di solito non si incontrano mai…
Il film di Saverio Costanzo è un gioco degli equivoci: NON è ‘l’ennesimo film sul disagio giovanile’, come molti hanno sentenziato (Alice e Mattia sono e saranno UNICI per tutta la vita, non perderanno mai le loro caratteristiche). NON è assolutamente una storia d’amore (i due si cercano perché sono SOLI, non perché sono innamorati). E soprattutto NON è un film scontato e facilmente inquadrabile come molta critica cinica e prevenuta ha fatto. La solitudine dei numeri primi è un film che parla di sofferenza, di infelicità, di sentimenti repressi, di orrore trattenuto e mai elaborato. E’ la storia di due persone belle ma speciali, coraggiose, che cercano di sopravvivere in un mondo che le ignora e le ghettizza semplicemente in quanto ‘non omologate’, senza che abbiano la possibilità di rendersi conto di quanto questa possa essere una fortuna…
Tratto da un romanzo best-seller di Paolo Giordano, la pellicola di Costanzo ha oggettivamente un grosso difetto: è troppo ‘commerciale’ e troppo manieristica per ciò che racconta. Una storia così complessa e delicata avrebbe forse meritato un tono più intimista e più dimesso, sussurrato, più in linea con i personaggi. Il regista invece ne ha ricavato un thriller psicologico, sincopato, con personaggi sopra le righe, sequenze quasi horror e musiche tanto accattivanti quanto ‘ruffiane’. Ma il risultato, è giusto dirlo, non è comunque da disprezzare: alla fine la storia e i personaggi rimangono, restano loro stessi. E ci fanno capire che i ‘numeri primi’ esistono davvero, e meritano amore e rispetto.
VOTO: * * *
Non ho letto il libro, perciò lo vedrò con la mente sgombra da quei pregiudizi che spesso condizionano la visione di un film della cui trama si sa già tutto.
RispondiEliminaFai bene. Non so perchè ma questa pellicola, così come il romanzo, ha subito attacchi durissimi e a mio modo di vedere pretenziosi. Alla proiezione stampa qualcuno ha fischiato prima ancora che iniziasse il film... Non capisco, sinceramente, il perchè di tanto accanimento. Il film, come ho detto, non è sicuramente un capolavoro ma quest'anno in concorso, credetemi, si è visto MOLTO di peggio.
RispondiEliminaNe riparliamo quando lo avrai visto.
Grazie del commento.