La nostra vita, invece, parla della nostra Italia. Del nostro piccolo paese, soffocato dall'arrivismo, la meschinità, la cialtroneria, la cafonaggine, il razzismo, la spregiudicatezza e il cinismo di chi lo ha ridotto in questo stato. La Palma d'oro assegnata a Elio Germano da una parte ci conforta e ci inorgoglisce, a testimoniare la vitalità di una cinematografia che, malgrado i tanti e ripetuti deprofundis, conferma di essere ancora capace di realizzare opere importanti e profonde come questa. Dall'altra però ci spaventa: se un film così italiano è stato capace di toccare le corde della giuria internazionale, allora significa che ormai lo sputtanamento costante, scientifico e premeditato ordito da questa classe dirigente (per usare le parole dell'attore, nella sua splendida dedica, vedi sotto) ha ormai tristemente travalicato i confini nazionali... insomma, ormai ci conoscono proprio tutti. E lo dico, badate bene, senza un grammo di ironia.
Il film di Luchetti è una pellicola potente e sgradevole. Spietata. Certo non perfetta, in alcune parti didascalica e stereotipata, ma di una forza impressionante che, unita ad una lucidissima capacità di analisi delle storture del sistema-Italia, fornisce un quadro durissimo e feroce della medesima: una nazione in ginocchio, economicamente ma soprattutto morlamente, dove tutti si azzannano a vicenda, dove nessuno è più totalmente buono o cattivo, ma dove ciascuno cerca di sopravvivere a scapito di chi gli sta accanto.
Claudio (un grandissimo Elio Germano, strameritato il suo premio) è un giovane responsabile di un cantiere edile. Ha una bella moglie, due figli piccoli e un terzo in arrivo. E' l'esempio vivente di quel famigerato "ceto medio" che la crisi economica ha ridotto quasi in indigenza. Tuttavia c'è chi sta peggio di lui: la manovalanza del cantiere, composta da immigrati irregolari, sottopagati, invisibili, privati dei più elementari diritti umani. Sono gli schiavi del XXI secolo, che non fanno notizia e che quando muoiono vengono sepolti di nascosto sotto le fondamenta dei palazzi dove lavorano in nero. Claudio comunque non si lamenta: vive la sua quotidianità con l'amore infantile e carnale verso la sua compagna e i bambini. Un giorno disgraziato però la moglie muore di parto, mettendo al mondo il piccolo Vasco. La situazione precipita. Claudio elabora il lutto reagendo nel modo peggiore possibile: per non far mancare nulla ai figli si mette in testa di "fare i soldi", quei soldi che da quel momento diventano la sua ossessione. Ovviamente l'unico modo per arricchirsi in fretta è quello di tuffarsi nell'illegalità: si mette in proprio facendosi prestare i capitali da un amico spacciatore, sfrutta gli operai, non paga le tasse e costruisce le case infischiandosene della sicurezza. Ma improvvisarsi imprenditore non è semplice: e quando i debiti si faranno soffocanti fino a mettere a rischio la sua famiglia...
La nostra vita è la radiografia di un paese in ginocchio, dove i bambini giocano da soli alla playstation e dove si passano le domeniche al centro commerciale, unico effimero e falso luogo di aggregazione del "nuovo proletariato". Un paese dove conta solo "chi c'ha li sordi" e dove la famiglia, per quanto disperata, è l'unico punto di riferimento per non sbattere la testa. Il film è bello e importante, nonostante certe magagne di sceneggiatura e un finale intriso un po' troppo di retorico buonismo. Ma sono difetti veniali di un'opera coraggiosa e concreta, che merita assolutamente la visione.
VOTO: * * * *
"Siccome la nostra classe dirigente rimprovera sempre al nostro cinema di parlare male della nostra nazione dedico il premio all'Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere l'Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente''
"Siccome la nostra classe dirigente rimprovera sempre al nostro cinema di parlare male della nostra nazione dedico il premio all'Italia e agli italiani che fanno di tutto per rendere l'Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente''
Elio Germano
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